Repubblica 29.12.18
David Grossman “Addio mio saggio amico eroe della letteratura”
Fa male. Fa molto male. Continuava a dire che avrebbe vinto lui. E noi non potevamo non credergli
Ricordava la nascita del nostro Stato, tutte le guerre, tutte le speranze che oggi
Intervista di Francesca Caferri
«Fa male. Fa molto male.
Continuava
a dire che avrebbe vinto lui. Era un combattente coraggioso e stava
combattendo la sua battaglia: tutti noi accanto a lui non potevamo non
credergli.
Nonostante quello che i medici dicevano della sua
malattia: non importa quanto sapessimo, la notizia della morte di Amos è
uno shock». La voce di David Grossman arriva dalla California spezzata
dall’emozione e dalla ripida scalinata che sta percorrendo, inseguito
dai giornalisti americani: si ferma spesso, e si fatica a capire se sia
per mandare indietro le lacrime o per riprendere fiato.
Grossman, che vuoto lascia Amos Oz sulla scena culturale e sociale di Israele?
«Un
vuoto enorme. Amos era una delle persone più sagge che io abbia mai
conosciuto: solo sedere accanto a lui per un’ora, ascoltarlo formulare
pensieri e mettere in fila idee era un insegnamento costante. Non solo
noi, gli amici, e la sua famiglia, ma milioni di lettori in tutto il
mondo e Israele tutto intero hanno perso una guida».
Non tutti in Israele lo amavano…
«Lo
so bene. Ma Amos ha mostrato a noi israeliani chi siamo: contro tutti
gli stereotipi e i cliché ha raccontato al mondo e a noi stessi la
complessità di Israele. E la sua meraviglia. Non tutti amavano le sue
opinioni, lo so bene: ma questo non significa che avesse torto.
Significa piuttosto che in una realtà sempre più dominata dalla paura e
dall’odio, la gente si aggrappa a questi sentimenti per sentirsi sicura:
e non vuole avere dubbi.
In una situazione così avere opinioni
come le sue e non arrendersi di fronte alle pressioni, continuare a
scrivere letteratura come la scriveva lui è ancora più eroico. E Amos
era un eroe vero».
Cosa intende?
«Nel giugno del 1967,
quando tutto Israele era preso dall’euforia della vittoria nella Guerra
dei Sei giorni, fu una di quelle due o tre persone che si alzarono per
dire che dovevamo stare attenti. Era un momento euforico, entusiasmante:
un piccolo Paese che sconfigge da solo le potenti nazioni arabe. Ma a
lui non bastava. Questo giovane uomo ci mise in guardia dalla situazione
pericolosa che avevamo creato, dicendo che l’occupazione avrebbe
portato alla militarizzazione del Paese, a una tensione permanente,
all’assenza di pace. Era impopolare e pericoloso parlare così: ma lui lo
fece, senza paura».
Quale sarà l’eredità di Oz a suo giudizio?
«Ci
ha lasciato un’agenda per il futuro, un’agenda molto semplice, ma
fondamentale nella complicata situazione che il nostro Paese vive.
Viviamo un altro momento pericoloso della nostra storia: sappiamo di non
essere amati dai nostri vicini, sappiamo che molti non vogliono
l’esistenza del nostro Stato nella regione. Ma Amos ci ha ricordato che
se contiamo solo sulla forza militare e non cerchiamo invece di
migliorare i nostri rapporti con i vicini non saremo in grado di
sopravvivere. Che senza una pace duratura e giusta non andremo lontano.
Voleva che Israele sopravvivesse, a lungo.
Apparteneva a una
generazione che ricordava la nascita del nostro Stato, tutte le guerre,
tutte le difficoltà che abbiamo attraversato e le speranze che abbiamo
avuto e che oggi sono deluse: non ci sono tante voci come la sua».
Lei,
Oz e Yehoshua siete stati chiamati i Tre tenori: un soprannome che vi
perseguita da anni e che non sempre avete amato. Siete il volto della
letteratura israeliana nel mondo, ma anche di quella parte di Paese che
da sempre chiede pace. Da oggi siete rimasti in due: cosa cambia?
«È
vero, i Tre tenori è da anni è il nostro soprannome. Ma ci tengo a dire
che noi siamo prima di tutto tre amici veri, uniti da un sentimento
reale e molto forte.
Amos era sempre stato generoso con noi, c’era sempre per parlare di letteratura e anche di politica.
È
troppo presto per dire che cosa faremo: ma so che sarà difficile,
qualunque cosa sarà. Amos mi mancherà moltissimo, fatico ancora a capire
quanto».