Repubblica 26.1.19
Roberto Fico
"Al Sisi mi ha mentito il Cairo copre gli apparati che hanno ucciso Regeni"
La fiaccolata di Amnesty International per i tre anni dalla scomparsa di Giulio
Intervista di Carlo Bonini
l
nostro ambasciatore è al Cairo con obiettivi molto chiari: se non si
raggiungono bisogna trarne le conseguenze Ricordo a Salvini che con i
magistrati egiziani è stallo. E che quando Giulio morì lui ebbe parole
molto dure Il caso Regeni esca dal dibattito politico.
È una questione di Stato e io da Stato vado avanti fino alla fine
FIUMICELLO
Sul divano di un albergo che guarda la provinciale verso Gorizia il
presidente della Camera, Roberto Fico, aspetta una serata per lui più
importante di altre. La notte delle fiaccole e della verità per Giulio,
accanto a Paola e Claudio Regeni. Pesa le parole perché non cerca
mediazioni. Né con il Regime del Cairo: «Al Sisi mi ha mentito». Né con
il più ingombrante degli alleati di maggioranza di governo, Matteo
Salvini: «Dovrebbe ricordare quello che disse quando il cadavere di
Giulio venne ritrovato e sapere che non è più tempo di ipocrisie
giudiziarie».
Presidente, tre anni dal 25 gennaio 2016 e ancora nessuna luce in fondo al tunnel. E ora?
«E
ora vanno dette alcune cose. La prima: siamo in un assoluto stallo
giudiziario. La procura del Cairo non ha dato corso ad alcun atto che
preluda anche solo all’avvio di un processo ai responsabili del
sequestro, tortura e omicidio di Giulio. Questo la dice lunga su ciò che
Al Sisi intende fare. Secondo: sappiamo che i cinque innocenti
ammazzati al Cairo nella primavera del 2016 non avevano alcuna
responsabilità nel sequestro e nella morte di Giulio. Che sono stati
sacrificati per farcelo credere.
Terzo: sappiamo che le responsabilità della morte di Giulio risiedono all’interno degli apparati di quel Paese».
Saperlo dove porta?
«Quello
che ho appena detto, lo dissi ad Al Sisi esattamente come lo sto
dicendo a voi nel settembre dello scorso anno, guardandolo negli occhi.
Lo ricordo ancora: mi aspettava in una grande sala, assiso su una
poltrona poggiata su un piedistallo, sotto un grande lampadario.
Rimanemmo a parlare per trenta, quaranta minuti. Mi ascoltava, dando la
sensazione che la morte di Giulio fosse anche per lui una spina nel
fianco. Provò a interrompermi soltanto una volta cercando di introdurre
nella vicenda Regeni il tema della stabilizzazione della Libia e dei
flussi migratori. Lo fermai e gli dissi che fin quando la questione di
Giulio non si fosse risolta non c’era altro argomento che aveva senso
discutere. Mi congedò con una promessa. Testualmente: "Rimuoverò ogni
ostacolo", mi disse. Bene. Era il settembre 2018.
Siamo al gennaio
2019. Non è accaduto nulla. Quindi quelle di Al Sisi sono state parole
false. Non avevo altra scelta, da presidente della Camera, che
sospendere immediatamente le relazioni diplomatiche del ramo del
Parlamento che presiedo, e con il pieno accordo di tutti capigruppo, con
l’Egitto».
Pensa davvero che basti a spaventare il Regime e a convincere al Sisi a mantenere la promessa di verità?
«Sono
successe altre tre cose importanti da quella decisione. Il ministro
degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, ha convocato l’ambasciatore
egiziano in Italia con un atto che, nei protocolli della diplomazia, ha
un solo significato: la riapertura di una crisi. È successo anche che il
vicepremier e ministro per lo Sviluppo economico, Luigi di Maio, abbia
preso pubblicamente posizione dicendo che vengono prima i diritti e poi
gli interessi economici, cosa che considero molto importante. Ed è
successo anche che il Parlamento europeo abbia approvato una risoluzione
che sollecita l’Egitto non solo a impegnarsi per la verità ma a offrire
garanzie che tutelino i consulenti legali della famiglia Regeni e del
loro avvocato, Alessandra Ballerini, al Cairo.
Un’ultima cosa: ho
scritto ai presidenti di tutti i Parlamenti dell’Unione per sollecitarli
a uno sforzo comune perché Giulio Regeni non era soltanto un cittadino
italiano ma era un cittadino europeo, un ricercatore dell’università di
Cambridge.
Insomma, abbiamo riportato Regeni nell’agenda politica nazionale e interazionale. E ora dobbiamo soltanto insistere».
Parlando
quale lingua? La sua? Quella di Moavero? O quella di Matteo Salvini che
in queste ore ha detto: «Abbiamo chiesto giustizia per Giulio. La
prossima volta mi candiderò a presidente dell’Egitto. Non mi sento preso
in giro dal Cairo, conto sul buon lavoro dei magistrati italiani ed
egiziani e sono fiducioso». Insomma, è lei che dà la linea o Salvini?
«Voglio
provare a rispondere a Salvini in modo costruttivo. E ricordargli,
tanto per cominciare, che le due magistrature sono in stallo, come
sostiene la stessa Procura di Roma, e che la cooperazione non c’è più. E
dunque che non c’è proprio nulla di cui fidarsi. Vorrei ricordargli che
dopo tre anni, non solo non c’è più fiducia nelle parole dell’Egitto ma
non ci può essere. Quanto alla battuta sulla candidatura alla
presidenza dell’Egitto, dico solo che seguendo questo filo paradossale
di ragionamento non si potrebbero aprire questioni diplomatiche con
nessun Paese. E comunque quando Giulio morì mi pare di ricordare che
Salvini ebbe parole molto dure e forti. Spero che a quelle parole
pronunciate prima di essere al Governo seguano ora coerentemente fatti
forti e importanti».
A proposito di fatti, è ipotizzabile che il nostro ambasciatore al Cairo venga nuovamente richiamato a Roma per consultazioni?
«Ritirare
l’ambasciatore è una decisione di competenza del ministro degli Esteri,
non mia. Osservo solo che l’ambasciatore Gianpaolo Cantini è tornato al
Cairo con una lettera di intenti molto chiara e circostanziata, dunque
se gli obiettivi indicati in quella lettera non dovessero essere
raggiungibili, è evidente che bisognerebbe trarne le conseguenze.
Insomma,
lo dico da terza carica dello Stato quale umilmente mi sento: Regeni è
una questione che non può avere etichette, divisioni. È una questione
che deve vederci viaggiare tutti uniti. Non appartiene a un partito, a
una sensibilità, ma allo Stato italiano».
Ma la sensibilità dello
Stato italiano, oggi, è rappresentata dall’agenda di Salvini che ha in
cima il blocco dei flussi dei migranti? Da questo punto di vista
l’Egitto è stata ed è la più efficiente "sentinella" del Mediterraneo.
Per non parlare del ruolo di Al Sisi nella transizione libica e il suo
ascendente su Haftar, non a caso entrambi protagonisti della conferenza
di Palermo con il premier Giuseppe Conte.
«Non bisogna avere gli
occhi foderati di prosciutto. L’Egitto è importante per la
stabilizzazione della Libia e sulle questione migratorie. Dunque sulla
carta è un interlocutore. Ma non può essere un attore credibile e
autorevole se non si chiude la ferita di Giulio. L’ho detto recentemente
incontrando i nostri imprenditori al Cairo: "Può succedere a voi quello
che è successo a Giulio". L’Egitto non è un paese sicuro, non è un
paese dove vengono rispettati i diritti umani. Quindi, capisco la
cooperazione economica, ma non c’è un euro che valga di più di un
diritto».
Sicuro che su questo siate tutti d’accordo nella maggioranza?
«So
che molti lo sono. Dopodichè la questione Regeni deve uscire dal
dibattito politico. Sul resto può esserci divisione e grande differenza.
Su questo no. Io lo dico da terza carica dello Stato. Mi sento Stato. E
questa è una questione di Stato. Da Stato vado avanti fino alla fine.
Perché non si può sconfiggere chi non si arrende mai. E siccome la
famiglia Regeni non si arrenderà mai, lo Stato non si dovrà arrendere».
E dunque, qual è la chiave per rompere l’arrocco di Al Sisi?
«Detto
che Al Sisi, e non la giustizia del suo paese, è il solo che può dare
mandato a risolvere una volte per tutte le questione, bisogna trovare
argomenti che lo convincano che la verità è più conveniente della
menzogna».
A proposito di Stato: la terza carica dello Stato cosa
pensa della vicenda Diciotti e di un vice premier che denuncia la
violazione delle prerogative della politica da parte della magistratura
che si fa Stato?
«Capisco la domanda, ma non risponderò oggi, non in questa giornata. Lo farò tra qualche giorno».