il manifesto 26.1.19
Cucchi, «i depistaggi continuano ancora»
Giustizia.
Il comandante della caserma Appia: «Alla Cecchignola una seconda
riunione al vertice dell’Arma». L'avvocato Fabio Anselmo: «Stanno
emergendo fatti inquietanti e gravi che si stanno verificando al di
fuori di questo processo. Possiamo anche voltarci dall’altra parte ma è
inaccettabile in uno Stato di diritto»
di Eleonora Martini
Il
tentativo di insabbiamento della verità e di depistaggio delle indagini
sulla morte di Stefano Cucchi – riuscito per molti anni – emerge ogni
volta più nitido, man mano che avanza l’inchiesta integrativa al
processo bis aperta dal pm Giovanni Musarò e che cresce il relativo
faldone con prove e testimonianze portate davanti alla I Corte d’Assise
di Roma. Tentativi mai interrotti, che continuano a tutt’oggi, come è
emerso durante l’udienza di ieri e in particolare come confermato dal
capo della Squadra mobile di Roma, Luigi Silipo, che conduce le indagini
su questo secondo filone di indagine.
«STEFANO CUCCHI NON VOLEVA
stare nelle celle di sicurezza perché aveva paura di essere picchiato di
nuovo», avrebbe ammesso il maresciallo Massimiliano Colombo Labriola,
comandante della stazione dei carabinieri di Tor Sapienza, in una delle
intercettazioni della polizia riferite da Silipo. Colombo Labriola è lo
stesso che in altre telefonate ascoltate dagli inquirenti commentava con
l’appuntato Gianluca Colicchio l’iscrizione sul registro degli indagati
appena ricevuta, e ricostruiva il destino dei falsi verbali prodotti. A
conferma del fatto che molti, all’interno della catena di comando
dell’Arma, sapessero del pestaggio subito dal giovane geometra romano –
arrestato per droga il 15 ottobre 2009 e morto una settimana dopo nel
reparto protetto dell’ospedale Pertini – e si mossero per mettere tutto a
tacere.
E ieri in aula a riferire di un’altra riunione al vertice
tra carabinieri dedicata alla vicenda è stato il maggiore Emilio
Bucceri, a quel tempo comandante della stazione Appia dove Stefano venne
condotto per il fotosegnalamento e dove venne picchiato, secondo la
testimonianza di Francesco Tedesco, uno dei cinque militari imputati nel
processo bis. Bucceri non era in servizio quella sera, sostituito dal
suo vice, il maresciallo Roberto Mandolini, altro imputato; nel suo caso
con l’accusa di falso e calunnia.
NON SOLO DUNQUE la riunione del
30 ottobre, a ridosso della morte di Cucchi, che si tenne nel comando
provinciale di Roma, in Piazza San Lorenzo in Lucina, ma anche un’altra,
che si svolse alla Cecchignola il 12 novembre 2009. Anche quest’ultima,
come la prima, convocata dall’allora comandante provinciale dell’Arma,
il generale Vittorio Tomasone, preoccupato questa volta di quanto stava
emergendo sui media in merito al caso dell’allora presidente della
Regione Lazio, Piero Marrazzo, vittima di un’estorsione da parte di
quattro carabinieri che sono stati condannati nel novembre scorso.
«L’unica
riunione alla quale ho partecipato fu un briefing indetto dall’allora
comandante provinciale in una nostra caserma alla Cecchignola – ha
riferito Bucceri – C’erano il comandante provinciale e, scendendo la
scala gerarchica, i comandanti di gruppo, quelli di compagnia e quelli
delle stazioni. Da poco c’era stato anche l’accadimento Marrazzo, dove
erano coinvolti dei carabinieri per una vicenda estorsiva e fu fatto
riferimento dal generale Tomasone a questi due fatti e alla gestione del
personale».
«STATE ATTENTI AL PERSONALE», disse in
quell’occasione Tomasone, secondo quanto riportato dal maggiore. Il pm
chiede come mai i vertici dell’Arma concedessero tanta attenzione ai
casi Marrazzo e Cucchi. «C’era stata risonanza mediatica, per questo
erano interessati», risponde Bucceri. Il comandante della stazione Appia
ricorda anche le parole con le quali il suo vice Mandolini tentò di
addossare alla Polizia penitenziaria la responsabilità del pestaggio:
«Mi disse “glielo l’abbiamo consegnato che era sano…Ci vogliono tirare
dentro”».
Ieri avrebbe dovuto testimoniare anche il prof. Carlo
Masciocchi che ha firmato la perizia con la quale è stata appurata la
frattura «recente» della vertebra L3 sul corpo di Cucchi. Frattura che
era stata invece negata e perfino «nascosta», secondo la famiglia di
Stefano, nelle precedenti perizie medico legali. Masciocchi non ha
potuto essere presente e la sua deposizione è stata rinviata. Ma Ilaria
Cucchi e il suo avvocato Fabio Anselmo hanno ricordato anche ieri che i
tentativi di «insabbiamento continuano, su tutti i fronti».
«Stanno
emergendo fatti inquietanti e gravi che si stanno verificando al di
fuori di questo processo. Testimoni che vengono avvicinati, depistaggi
che si stanno protraendo nel tempo e continuano mentre è in corso questo
procedimento». «Possiamo anche voltarci dall’altra parte – conclude
Anselmo – ma esprimo tutto il mio rammarico rispetto alla reiterazione
di questi episodi in queste forme illecite e inaccettabili in uno Stato
di diritto».