Repubblica 25.1.19
La memoria e i sogni dello scienziato Primo Levi
di Marco Cattaneo
Il
6 maggio 1948, chiamato a recensire Se questo è un uomo sulle pagine
dell’Unità, Italo Calvino prendeva spunto da un dettaglio che forse a
molti sarebbe passato inosservato. «C’era un sogno, racconta Primo Levi,
che tornava spesso ad angustiare le notti dei prigionieri dei campi di
annientamento: il sogno di essere tornati a casa e di cercare di
raccontare ai famigliari e agli amici le sofferenze passate, ed
accorgersi con un senso di pena desolata ch’essi non ascoltano, che non
capiscono nulla di quello che loro si dice » . E continuava
sottolineando che l’impossibilità di comunicare tutto l’orrore dei campi
di concentramento avrebbe perseguitato tutti gli scampati che cercavano
di testimoniarla, « come un proseguimento della pena».
Calvino
aveva visto giusto. Gli incubi che tormentavano le notti di Auschwitz
sarebbero diventati un argomento ricorrente, nell’opera dello scrittore
torinese, ma anche di altri scrittori che hanno raccontato la Shoah.
Stranamente, però, finora nessuno sembra aver studiato sistematicamente
il tema dei sogni della deportazione nei racconti di Primo Levi.
Prova
a darne una lettura Anna Meldolesi sulla pagine di « Mind » di
febbraio, in edicola da domani. I sogni, messi in fila, « appaiono come
traduzioni facilmente comprensibili delle grandi paure e delle residue
speranze di vita nel campo », scrive. Sono i sogni, per esempio, ad
aprire le pagine de La tregua, con i versi scritti pochi mesi dopo il
lungo viaggio di ritorno dalla prigionia narrato nel libro. Sogni che
riportano ad azioni all’apparenza scontate, come se anche l’immaginario
onirico fosse «schiacciato, impoverito anch’esso dalla prigionia ».
Tanto che in quei versi de La Tregua i « Sogni densi e violenti/ Sognati
con anima e corpo » sono « Tornare; mangiare; raccontare ».
L’aspetto
dominante, nella testimonianza di Primo Levi, è la memoria. « Chi è
finito nei lager “ per disgrazia” – scrive ancora Anna Meldolesi – cerca
con tutte le forze di dimenticare». Ma per chi aveva un impegno
politico o una forte fede religiosa o ancora una coscienza morale
raccontare quella tragica esperienza è un dovere. E per raccontare si fa
ricorso alla memoria. Ed è proprio in funzione della preservazione e
dell’analisi dei ricordi che lo scrittore si concentra sui sogni. Sono
uno strumento – secondo Francesco Cassata, storico del fascismo
all’Università di Genova e studioso di Primo Levi – per indagare la
memoria sensoriale, proprio come gli odori e la musica: «sono tutti
elementi che accendono i ricordi». E qui emerge la formazione di Levi,
in cui la voce del testimone e dello scrittore si esprimono sullo sfondo
dello scienziato, interessato anche ai processi biologici della
memoria.