mercoledì 23 gennaio 2019

Repubblica 23.1.19
Spagna
Vox: destra pop e nostalgie franchiste il modello Bannon governa l’Andalusia
di Concita De Gregorio


Aznar è l’ispiratore del nuovo partito, molti leader provengono dalla sua corrente Tra i bersagli, la lotta all’indipendentismo catalano e l’opposizione alle lotte femministe

Elezioni regionali: decisivo il nuovo movimento estremista
Anche a chi non fosse appassionato di elezioni regionali in Paesi che non sono il nostro — storie minori, faccende che in fondo non ci riguardano: bisogna pur scegliere a cosa dedicarsi — potrebbero interessare le sapienti traiettorie aeree di Steve Bannon, già stratega dell’elezione di Donald Trump, la cui chioma candida compare a sorpresa in incontri riservati o agitate piazze di luoghi tra loro lontanissimi sul globo. Il Brasile di Bolsonaro, l’Ungheria di Orbán, la Francia di Marine Le Pen e ora di qualche frangia dei Gilet Gialli, l’Italia di Salvini, naturalmente, gli euroscettici di Afd in Germania e, da ultimo, l’Andalusia di Vox. Vola, Bannon, sulla mappa politica della nuova destra. Prendiamo quest’ultimo caso. Laboratorio Andaluso, lo chiamano. Il primo tentativo riuscito, in Spagna, di portare al governo l’estrema destra senza darlo troppo a vedere. La nuova giunta si è insediata venerdì scorso, 18 gennaio. Dopo quattro decadi di socialismo governa oggi in Andalusia, la regione del padre fondatore del Psoe Felipe González, un bipartito di centrodestra: Popolari e Ciudadanos. Non avrebbero la maggioranza senza quello che noi chiameremmo “l’appoggio esterno” di Vox, il partito esplicitamente neofranchista di Santiago Abascal, che ha conquistato alle ultime elezioni 12 seggi. Un ‘patto per la fiducia’, siglato nelle scorse settimane, porta le tre forze politiche a 59 seggi su una maggioranza di 55.
Vox è dunque al governo, senza ministri ma con il destino dei ministri altrui — dell’esecutivo intero — nelle sue mani. Tra i primi a rallegrarsi pubblicamente del successo di Abascal è stato Mishael Modrikamen, presidente di ‘The Movement’ a Bruxelles, il think tank di Bannon, che ha speso parole lusinghiere e ha annunciato imminente visita agli “amici di Siviglia”, popolari per gentilezza inclusi. Bannon in persona, del resto, si era incontrato ad aprile, alla vigilia della campagna elettorale, con Rafael Bardají, antico uomo di fiducia di José María Aznar e oggi membro del comitato esecutivo di Vox. Aveva garantito in quell’incontro il suo “incondizionato appoggio” alle politiche per la sovranità del popolo spagnolo e contro gli indipendentismi. Aveva assicurato il suo sostegno alle strategie per “abbassare al minimo” l’appoggio internazionale ai separatisti. È noto che una delle leve della vittoria di Vox in Andalusia è stata proprio la campagna contro El Procés, la battaglia indipendentista catalana.
Perché è così interessante per il resto del mondo, quel che accade con Vox? Perché segnala lo spirito del tempo, scrivono gli analisti che titolano i loro corsivi: “Bulli al governo”. Ma questa non è ricreazione: nessuno torna in classe, almeno in apparenza disciplinato, alla campanella.
Quello che sta accadendo in punti così lontani della mappa è un indicatore di rotta politica profondo. Siamo alla vigilia di quelle che Romano Prodi chiama ‘le elezioni del nostro destino’. Il 26 maggio si vota in Europa e, nei Paesi, in alcune Regioni e città cruciali. Per restare in Spagna: si vota a Barcellona, la più grande città europea non capitale. La città simbolo del catalanismo. Come si concilia il sovranismo (il centralismo) della nuova destra con le spinte federali? Un problema anche per la Lega, nata padana sulle rive del Dio Po. Sarà interessante, a Barcellona, osservare come il candidato sindaco Manuel Valls, ex socialista che si presenta con le insegne di Ciudadanos e con l’appoggio del Partito Popolare, si comporterà con Vox — partito con il quale dice di non voler dialogare. Ma Popolari e Ciudadanos già governano con Vox, in Andalusia.
C’è qualcosa di sotterraneo, nel consenso che raccoglie la nuova destra, qualcosa che le sigle neonate non spiegano. Che cos’è Vox, da dove arriva? Sì, sappiamo che il bel quarantenne Santiago Abascal cavalca a pelo senza sella e porta la pistola. Ma a parte l’iconografia pop. Politicamente, cos’è? Non si capisce Vox senza tornare a José María Aznar, il vecchio presidente del consiglio Popolare, arcinemico dell’esangue Rajoy. È Aznar, oggi, il king maker della politica spagnola. A volte ritornano, sono sempre stati lì. È lui il grande burattinaio di Pablo Casado, incolore segretario del Partito Popolare. È lui il più ascoltato dai giovani leader di Ciudadanos, che ha contribuito a creare come ‘forza fiancheggiatrice’. Ed è Aznar, di nuovo, l’uomo nell’ombra di Vox, l’ispiratore. Aznar, ricordiamolo, ha le sue radici politiche nell’ala destra del PP: quella di Manuel Fraga, ex ministro del dittatore Francisco Franco. Il franchismo originario, la matrice. Oggi Aznar, dall’ombra, gioca su tre fronti: suona una consolle a tre tastiere.
Vediamo. Sette dei dieci fondatori di Vox vengono dall’aznarismo.
Dall’aznarismo e dalla lotta all’Eta, il terrorismo basco, che di Aznar è stato il cavallo di battaglia.
Santiago Abascal, basco, è figlio di un politico del Partito Popolare, è stato militante del partito lui stesso, cresciuto sotto minaccia etarra e sotto scorta. Ha lasciato il PP un mese prima di registrare il suo movimento: Vox, era il novembre del 2012. La politica di Rajoy gli sembrava troppo debole.
Altri fondatori: Ana Velasco, figlia del comandante dell’esercito Jesus Velasco Ziazola, ucciso da Eta. Ortega Lara, sequestrato da Eta per 500 giorni. José Luis González Quirós, funzionario della polizia penitenziaria e animatore della fondazione politica di Aznar, la Faes, fondazione di analisi di studi sociali. Potremmo continuare.
Sette su dieci tra coloro che hanno dato vita a Vox sono vittime o parenti di vittime del terrorismo etarra. Sono stati membri del governo Aznar e suoi stretti collaboratori, quando erano nel Pp. Lo stesso Abascal, il leader, aveva un incarico di governo e uno stipendio pubblico di 80 mila euro annui. Un passo indietro.
L’embrione di Vox è stata Danaes, fondazione per la Difesa nella Nazione Spagnola. Era la fine degli Anni ’90. Aznar si mise a capo della campagna di popolo la “socializzazione della sofferenza”, la parola d’ordine con cui l’Eta aveva giustificato centinaia di omicidi. Si era alla fine di battaglia sanguinaria decennale, di cui i cittadini — tutti — erano stanchi.
Moltissimi intellettuali anche da sinistra aderirono. Basta ai morti per strada: è ora. Il Partito popolare guidava la lotta ai “nazionalismi senza Stato”: allora era il Paese Basco. Finita l’Eta, finiti i morti Aznar ha proposto lo stesso modello contro gli indipendentisti catalani: solo che qui non c’è mai stata violenza, solo il voto a un referendum popolare non autorizzato. Allora è nata la campagna contro il ‘golpismo antisovranista’. Non c’è violenza, ma ci potrebbe essere — dicevano.
È violenza democratica. Lo schema ha continuato a funzionare. Molti intellettuali sono rimasti lì, Mario Vargas Llosa a capitanare in piazza gli imbandierati delle insegne del Re ne è l’incarnazione plastica.
Danaes, la fondazione sovranista, ha partorito Vox. Aznar non si è mosso di un millimetro. Dice la filosofa Marina Gracés, una delle voci più ascoltate nelle nuove generazioni che si affacciano alla politica, che “il futuro è il nostro passato”. Tutte le rivendicazioni hanno parole d’ordine che iniziano con il prefisso re-. Re-appropriarsi, re-distribuire, re-disegnare. La difesa del passato diventa difensiva. Restaurazione.
L’autorità politica si fonda su chi siano stati i tuoi nonni, quali antenati puoi esibire. È questo già oggi il tema delle prossime elezioni catalane (la battaglia mediatica è fra chi fossero i nonni di Valls, chi quelli di Ernest Maragall) ed è il cuore identitario del ritorno della destra: chi erano, i tuoi nonni? Da che parte stavano, nella guerra civile? Le proposte politiche di Vox sono affini a quelle di Ciudadanos e del Partito Popolare. Ricentralizzare i servizi essenziali, proibire i partiti indipendentisti, abolire il bilinguismo, eliminare le polizie locali, riprendere le redini dell’informazione pubblica. Vox ha preso al suo esordio elettorale, nel 2014, 247 mila voti in tutta la Spagna: l’1,6 per cento, meno degli animalisti. È decollato ed esploso dopo la crisi catalana, ottobre 2017, coi politici della Generalitat arrestati o costretti alla fuga. Al punto 70 del suo programma elettorale c’è la “soppressione di organismi femministi radicali sovvenzionati”. La prima grande manifestazione nazionale contro il nuovo governo andaluso, il 15 gennaio, è stata delle donne. Non un passo indietro, #niunpasoatràs, hanno detto a migliaia per le strade. Il femminismo militante in Spagna è uno dei principali motori democratici. La sua influenza nel dibattito pubblico è fortissima. Le multinazionali delle auto studiano pubblicità appropriate per un pubblico sensibile al fatto che una donna (una Barbie, nel caso) voglia e possa guidare una fuoriserie. Lo stesso spot non va in onda in Italia: non funzionerebbe. Vox frusta e incita l’arcaico machismo offeso. È ora di finirla con lo scandalo dei gay, dell’aborto, dei diritti, dice Abascal: le donne stiano a casa.
Per l’8 marzo è prevista una grande manifestazione femminista. Slogan: “Volando voy”, arrivo volando. È il titolo di una canzone di Camaron de la Isla, il più grande musicista flamenco di sempre. Album: La leggenda del tempo, testi di Federico García Lorca. Un omosessuale, un pervertito, un poeta, un socialista giustamente fucilato — nel racconto della nuova vecchia destra. Con Steve Bannon, per esempio, García Lorca non ha veramente niente in comune.