Repubblica 23.1.19
Jürgen Habermas “Mia cara Europa riprenditi l’anima o morirai populista”
La
lezione dei classici, da Platone a Kant. Il legame indissolubile tra
partecipazione e diritto. La lotta alle disuguaglianze come argine alle
destre In una Ue che litiga sulla pelle degli ultimi. Su “MicroMega”
l’intervista al filosofo
Intervista di
di Isabelle Aubert, Jean- François Kervégan
Su
MicroMega Questo testo è un estratto dell’ampia intervista a Jürgen
Habermas presente sul numero 1/2019 di MicroMega, da domani in edicola,
libreria, ebook e iPad, e che ha come filo conduttore “ A 100 anni da La
politica come professione di Max Weber”: all’interno, tanti testi dei
grandi del passato e tanti interventi dei protagonisti attuali
Professor
Habermas, i suoi lavori accordano un’importanza considerevole ai
classici (Kant, Hegel, Marx, ma anche Durkheim, Weber, Adorno, Mead…) e
alla storia della filosofia, approccio che non è più così comune tra i
filosofi contemporanei.
«Hans-Georg Gadamer ha spiegato
l’attributo “classico”, che utilizziamo anche per quei pensatori che
hanno istituito una tradizione nella storia della filosofia: grazie alle
loro opere, questi filosofi sono, tanto per le generazioni successive
quanto per noi, rimasti contemporanei. Per questo non solo noi godiamo
del privilegio di poter sfruttare in qualche misura in modo sistematico
il contenuto sostanziale delle intuizioni innovatrici contenute nei loro
scritti – andando al di là dell’interpretazione che si può dare dal
punto di vista dello storico – ma abbiamo anche il diritto di
comportarci così.
Abbiamo sempre letto Platone come un analista
dei concetti: è stato il primo a sviluppare un concetto dei concetti e
ha individuato nell’analisi concettuale la strada maestra della
filosofia. Un esempio più vicino a noi è quello di Kant che, con la
nozione di “autonomia”, ha introdotto un concetto completamente nuovo di
libertà della volontà».
Sebbene lei si sia spiegato più volte su
questo punto, vorremmo ritornare sull’importanza crescente che lei ha
attribuito al diritto nella sua riflessione critica sulla società.
«Dall’inizio,
da Storia e critica dell’opinione pubblica, mi sono interessato alle
tensioni che esistono fra lo Stato costituzionale democratico e il
capitalismo e alla contraddizione tra i princìpi in base a cui entrambi
rispettivamente funzionano. Questo spiega anche l’interesse che ho
maturato per la filosofia del diritto di Hegel, per la storia del
diritto naturale e per il confronto tra le due rivoluzioni
costituzionali del XVIII secolo».
Come concepisce oggi i rapporti fra diritto e politica, e, di conseguenza, tra filosofia del diritto e filosofia politica?
«Non
vedo nessuna alternativa al corpo di princìpi dello Stato sociale
democraticamente costituito. Ma oggi le nostre istituzioni democratiche
diventano sempre più una semplice facciata per adattare lo Stato
nazionale agli imperativi del mercato mondiale. In una società mondiale
sempre politicamente frammentata, ma altamente integrata sul piano
economico, non disponiamo di organizzazioni che possono compensare
questo divario e dunque combinare la capacità di azione democratica e di
controllo democratico. Mancano oggi le premesse minime per la
formazione di regimi politici più ampi e meglio disposti a cooperare, i
quali sarebbero in grado di addomesticare i mercati finanziari non
regolati su scala mondiale al fine di diminuire le plateali
disuguaglianze sociali che esistono all’interno delle società nazionali,
ma soprattutto tra gli Stati e i continenti».
Vorremo chiederle come la teoria critica può collocarsi rispetto agli studi postcoloniali.
Essa resta vittima di un etnocentrismo occidentale?
«Non
c’è alcun dubbio che la teoria critica precedente così come il marxismo
occidentale nel complesso siano stati più o meno ciechi a tal
proposito. Avevo già preso parte alla discussione messa all’ordine del
giorno dal decostruttivismo, la critica legittima del colonialismo
barbaro e della sua grossolana visione eurocentrista del mondo. Cosa è
necessario rivedere? Senza ombra di dubbio l’applicazione
incredibilmente selettiva dei presunti criteri universali
dell’Occidente. Ma bisogna rivedere anche i criteri dell’universalismo
occidentale propri della ragione?
Per esempio, concetti come quelli di diritti dell’uomo e di evoluzione sociale? Non sono domande semplici a cui rispondere».
La
situazione attuale e il futuro dell’Unione europea sono temi caldi che
la preoccupano molto. Quella migratoria è una delle questioni sociali e
politiche cruciali a livello europeo. Da un lato, questa situazione
rafforza le tensioni sociali, alimentando movimenti di estrema destra
nazionalista, dall’altro si ha l’impressione che la tendenza a chiudere
le frontiere dell’Ue metta i paesi membri in contraddizione con i
princìpi universali e umanisti della Carta europea dei diritti
fondamentali (dignità, libertà, uguaglianza, solidarietà).
«Sì,
trovo vergognoso il carattere glaciale delle recenti decisioni in
materia di politica del diritto d’asilo, considerato il fatto storico
per cui i flussi migratori provenienti dal Sud e dal vicino Oriente sono
anche la conseguenza delle nostre stesse colpe, quelle di una
decolonizzazione fallita. Possiamo ancora guardarci allo specchio senza
vergognarci per le tragedie che accadono nel Mediterraneo e che noi
lasciamo più o meno accadere in assenza della volontà di creare una
cooperazione? Ben inteso, aprire semplicemente le porte a tutti i
rifugiati non ci è possibile, ma, in mancanza di una politica d’asilo
comune a tutti gli Stati europei, la quale fino a ora ha fallito a causa
della mancanza di volontà degli Stati di accordarsi su un criterio di
ripartizione, sarebbe necessario che modificassimo radicalmente e
insieme la nostra politica nei confronti dei paesi da cui provengono i
rifugiati, prima di tutto per quanto riguarda la nostra politica
economica».
La cacofonia che regna a proposito della gestione
dell’accoglienza dei migranti e soprattutto la politica di sempre
maggiori respingimenti alla frontiera non mette in pericolo la base
democratica dell’Europa più profondamente di quanto si pensi? Non si
deve temere una crisi di legittimità dell’Ue che genererebbe, in un
effetto valanga, quella delle democrazie nazionali?
«Sono
d’accordo con voi, con una piccola riserva. Da sempre l’Unione europea
soffre di una mancanza di legittimità. Un deficit di legittimità che
raggiunge il suo apice a causa di una politica delle crisi non solidale,
che nel corso dell’ultimo decennio ha inciso profondamente sulla
politica economica e sociale, soprattutto su quella degli Stati del Sud
dell’Europa. Io considero la diseguaglianza sociale crescente
all’interno degli Stati membri come la vera causa del populismo di
destra. Ai miei occhi lo scandalo più grande sta nello sgomento e nel
regresso delle élite politiche che governano debolmente davanti al
compito che consiste nell’avere la volontà di contrastare l’attuale
deriva “trumpista” in Europa. È difficile dire se abbiamo già raggiunto
un punto di non ritorno.
Il problema, ai miei occhi, consiste nel
mantenere ciecamente lo status quo, poiché, in questo caso, la
disposizione dei governi a cooperare diminuirà sempre di più mentre il
populismo prospererà sempre più e questo, come voi sottolineate, a spese
della facciata, ad ogni modo sfregiata, dello Stato di diritto e della
democrazia».
L’originale francese è uscito su Le Philosophoire n.50. © Vrin. (traduzione di Sabina Tortorella)