Repubblica 23.1.19
Sabino Cassese “Anche il popolo sbaglia e il referendum propositivo può svuotare il Parlamento”
Intervista di Lavinia Rivara Concetto Vecchio
ROMA
Professor Cassese, la Camera sta votando la riforma costituzionale che
introduce in Italia il referendum propositivo. Si tratta di una pietra
miliare per la cosiddetta “democrazia diretta”, obiettivo identitario
per i 5Stelle. Rispetto al progetto iniziale del Movimento il testo è
molto cambiato e sono state accolte diverse proposte dell’opposizione. E
tuttavia per alcuni giuristi si corre comunque il rischio di svuotare
un Parlamento già troppo spesso scavalcato. Lei, da giudice emerito
della Corte Costituzionale, come la vede?
«Va apprezzato
l’atteggiamento dialogante del M5S, che conferma una propensione
all’ascolto del ministro Fraccaro. Va valutato positivamente il fatto di
aver udito esperti (il governo comincia a rispettare la competenza?).
Va apprezzato il compromesso raggiunto sulla proposta dell’opposizione
(Stefano Ceccanti) relativa al quorum di approvazione. Rimangono, però,
domande senza risposta, relative agli effetti sistemici del popolo
legislatore sull’assetto costituzionale. Quale effetto questo avrà
sull’ipertrofia legislativa italiana, senza un limite al numero delle
leggi popolari? Non c’è il pericolo di andare ad intasare un già
affollato quadro legislativo, svuotando il Parlamento? Come può incidere
il carattere necessariamente dicotomico del referendum (si risponde
solo sì o no) su decisioni che richiedono scelte più complesse? Quale
sarà l’effetto di una legge proposta e approvata dal popolo? Il
Parlamento potrebbe poi modificarla o abrogarla?»
L’articolo 1
della nostra Carta dice che “la sovranità appartiene al popolo che la
esercita nelle forme e nei limiti stabiliti dalla Costituzione”.
Quelle forme vengono ora messe in discussione?
«Questa
è la proposta di una legge costituzionale, che opererà come uno dei
limiti a cui fa riferimento l’articolo 1. Ma ci sono norme che possono
difficilmente operare.
Una è quella che consente leggi popolari
anche di spesa, con l’obbligo di indicare i mezzi per farvi fronte. Ma
come possono promotori e popolo indicare i mezzi per farvi fronte? Non
si finirà come gli emendamenti al bilancio proposti a suo tempo da
Rifondazione comunista, che indicava sempre l’introduzione di una
imposta patrimoniale?
L’iniziativa in materia di bilancio, che la
Costituzione affida solo al governo, ha una sua ragion d’essere, perché
il governo conosce i conti e ha l’“expertise” tecnica. Il Parlamento può
indicare i mezzi per far fronte alla spesa perché dispone
permanentemente del potere legislativo. Il popolo non può che rinviare a
successivi provvedimenti, che non sono necessariamente nella sua
disponibilità».
Grazie al pressing di opposizioni e giuristi è
stato introdotto un quorum: la proposta referendaria diventa legge se il
sì vince con i voti di almeno il 25 per cento dell’elettorato, circa
12,5 milioni di cittadini. Inoltre non c’è più il “ballottaggio” tra la
proposta del “popolo” e quella eventualmente approvata dal Parlamento.
Non sono correzioni sufficienti ad evitare lo svuotamento delle Camere?
«Non
credo che bastino. Il Parlamento è da tempo sotto attacco: si pensi
alla questione vitalizi. C’è il pericolo di portarlo fuori asse,
spostando il peso della legislazione maggiore verso il popolo. Norberto
Bobbio ha scritto una volta che nulla rischia di uccidere la democrazia
più che l’eccesso di democrazia».
Altra novità è il vaglio preventivo di ammissibilità da parte della Corte costituzionale sulle materie sottoposte a referendum.
Questo
“filtro” dovrebbe assicurare il rispetto dei vincoli internazionali e
di quelli sulle leggi di spesa e in generale dei principi fissati dalla
stessa Carta. Basterà questo a scongiurare un impatto negativo sulla
nostra legislazione?
«Non completamente, perché c’è poi l’aspetto quantitativo, come ho detto prima».
Il
Pd appare in una situazione imbarazzante: la maggioranza ha accolto
diverse sue proposte di modifica e il referendum propositivo era
previsto anche dalla riforma Boschi (bocciata dal referendum del 2016).
Probabilmente i democratici si asterranno in questo primo passaggio alla Camera.
Dovrebbero fare diversamente?
«Il
Partito che si denomina democratico può opporsi con difficoltà
all’introduzione di maggiore democrazia. Il punto critico sta
nell’assicurare questa maggiore democrazia. Come evitare un certo
plebiscitarismo insito nei referendum? Come assicurare quegli errori
madornali che il popolo può fare (vedi la Brexit)? Quindi, io sarei
favorevole a introdurre qualche limite esplicito (ad esempio di materia o
relativo ad alcuni diritti indisponibili) in modo che la democrazia
diretta non “mangi” quella rappresentativa, per evitare errori che
l’abuso dei referendum ha prodotto in California, ad esempio».
Ma
il problema della democrazia diretta, o di una maggiore partecipazione
dei cittadini al processo politico-legislativo, esiste o no? E come si
dovrebbe risolvere?
«Ci sono due punti critici. I sostenitori
della democrazia diretta sono singolarmente afoni quando si passa alla
democrazia deliberativa, che è la partecipazione dei cittadini alle
grandi decisioni collettive di carattere amministrativo. Ad esempio la
Tav. L’altro è quello della prova di resistenza alla quale il governo
sta sottoponendo le istituzioni italiane. Il fatto che un decreto legge
come quello sul reddito di cittadinanza e su quota 100 viene approvato
in Consiglio dei ministri, insieme con molti altri provvedimenti, in 38
minuti vuol dire che anche il Consiglio dei ministri è diventato un
organo di ratifica. La sovrabbondanza di decreti legge vuol dire che si
promette più democrazia, ma se ne assicura meno. La fame di posti e il
desiderio di liberarsi degli attuali amministratori va ben al di là del
pure deprecabile “spoils system” ed è segno di una preoccupante
“occupazione dello Stato”. Se il ministro dello sviluppo economico
afferma che la Banca d’Italia “non ci prende”, vuole dire che abbiamo
bisogno di un nuovo Baldassarre Castiglione per spiegare la compostezza
ai nostri governanti. Quale sarà l’effetto del referendum propositivo,
quando andrà ad aggiungersi a tutto questo?»
elettori, vedi la
Brexit. Come dice Bobbio nulla rischia di uccidere la democrazia più
dell’eccesso di democrazia I sostenitori della democrazia diretta sono
afoni quando si parla della partecipazione dei cittadini alle grandi
decisioni collettive, ad esempio la Tav
Giudice emerito
Sabino
Cassese, giudice emerito della Consulta, ex ministro e professore
emerito della Normale di Pisa. Ha insegnato nelle Università di Urbino,
Napoli, Roma, New York, Parigi e Nantes