mercoledì 23 gennaio 2019

Il Fatto 23.1.19
Gad Lerner
“Chi partiva dagli operai è finito con Marchionne”
Parla il giornalista - Con tante scuse
di Silvia Truzzi


“Lino Banfi sarebbe popolo o élite? Ma fatemi il piacere…”. Gad Lerner, giornalista e fino all’anno scorso militante del Pd, rifiuta in blocco l’interpretazione corrente dei rivolgimenti politici e culturali del 2018. Il divorzio tra la classe operaia e la sinistra risale addirittura a quarant’anni fa, alla sconfitta sindacale alla Fiat del 1980: “È allora che si avvia un massiccio dirottamento di quote di ricchezza nazionale dai salari a vantaggio dei profitti e delle rendite”, spiega. “Le imprese non reinvestono i profitti accumulati, ma scelgono più comode diversificazioni. Così azionisti e manager non solo si arricchiscono, ma esercitano il loro potere di soggezione sulla politica e sul giornalismo”. Per raccontare come i gruppi dirigenti della sinistra siano caduti in questa ragnatela, Lerner rispolvera l’introduzione che aveva scritto dieci anni fa a un suo libro inchiesta (Operai, Feltrinelli).
Come si è consumato questo divorzio tra la sinistra e il suo mondo d’origine?
La generazione di giovani dirigenti del Pci che ereditarono la leadership di Berlinguer, e che avrebbero poi fondato il Partito democratico, non ha più intrattenuto alcuna consuetudine con il mondo del lavoro dipendente. Aspirando al governo del Paese e costretta a fare i conti con la dominante cultura neo-liberista, ha cercato legittimazione in un establishment nazionale di cui ha tollerato, in cambio, i vizi. Sposandone talvolta i comportamenti. Il mio amico sociologo Bruno Manghi, sintetizza in uno sfottò l’impedimento a rimettersi in sintonia col mondo del lavoro da parte dei vertici della sinistra: “Vi siete abituati a frequentare troppi ricconi”. Lo stile e il tenore di vita dei politici, ma anche di molti intellettuali, si è avvantaggiata del brutale incremento della disuguaglianza. Per necessità o per vocazione frequentava altri ambienti, incrociando di rado lo sguardo dei pochi militanti anziani rimasti a condividere la vita del popolo delle formiche.
La famosa connessione sentimentale?
Per anni le fondazioni culturali di sinistra hanno promosso convegni con i banchieri e i principali esponenti del malconcio capitalismo italiano. Mentre non si ricorda un momento di riflessione significativo dedicato alle difficoltà di rapporto con le organizzazioni sindacali né tantomeno al peggioramento della vita operaia.
Quando dice intellettuali, parla anche di sé?
Certo, vivo anch’io una contraddizione. Ho avuto un percorso di vita fortunato, e pur conservando gli amici di prima, negli anni mi è capitato di diventare amico anche di alcuni “padroni”. Nulla di cui vergognarmi, sia chiaro. Ho lavorato sodo e guadagnato bene. Meno di tanti odierni “capipopolo”, ma bene. Per questo non mi atteggio a vittima quando mi rinfacciano il rolex, ma non smetterò per questo di denunciare la china fascistoide implicita nello slogan “Prima gli italiani” che la Lega ha ripreso da Casapound. Semplicemente, come ho già detto al Fatto, so bene che la rigenerazione di una sinistra popolare toccherà inevitabilmente ad altri. Figure più credibili, chiamate a contrastare la deriva italiana: un lungo ciclo di boom dei profitti abbinato a decrescita infelice.
Chi può avere le credenziali per guidare questa “resistenza”?
Vale la pena ricordare che i fondatori del movimento sindacale in Italia furono Bruno Buozzi, Achille Grandi e Giuseppe Di Vittorio: cioè tre persone che avevano cominciato a lavorare tra i nove e gli undici anni. Erano un meccanico, un tipografo e un bracciante che hanno conosciuto di persona la povertà e il lavoro minorile e che in seguito hanno vissuto uno straordinario percorso di acculturazione che li ha fatti diventare anche grandi intellettuali. A un certo punto, negli anni Ottanta, si è interrotto il circuito virtuoso che portava i figli del popolo ai vertici del sindacato e del partito. Ma anche a diventare grandi sociologi del lavoro, come l’ex operaio Aris Accornero e lo stesso Luciano Gallino, giovane benzinaio che in provincia di Ivrea incontra per caso Adriano Olivetti. Altro che forconi e Gilet gialli, allora si parlava semmai di aristocrazia operaia.
Quel circuito si è spezzato.
Molti dirigenti della sinistra che avevano vissuto in prima persona la vertenza Fiat, come Piero Fassino e Sergio Chiamparino, si contraddistingueranno nel secolo nuovo per l’ostentata sintonia con Sergio Marchionne, il manager “apolide” intenzionato a trattare la manodopera italiana né più né meno di quella brasiliana, polacca, serba, statunitense (segno di civiltà, se non avvenisse al ribasso). Tenendo, nel 2007, in un luogo simbolico come l’ex stabilimento del Lingotto il discorso d’investitura alla guida del Pd, Walter Veltroni enfatizzò la sua adesione allo spirito d’impresa condannando le non meglio precisate manifestazioni di “invidia sociale”.
Perché non crede allo schema élite versus popolo?
Ma quale élite e quale popolo? Credo sia l’ultima mascheratura ideologica del disastro in cui siamo precipitati. Non a caso ne ha fatto la sua armatura la nuova élite, quella vincente. Quella di derivazione televisiva Raiset del Movimento 5 Stelle, figlia di Grillo e del Gabibbo che a un certo punto si è camuffata fingendo di parlare a nome del popolo, destinata a fare da battistrada al leghismo, più attrezzato sul piano ideologico e insediato da decenni al governo delle regioni del Nord. Capisco che si tratta di un’élite smandrappata di un Paese in declino, ma pur sempre élite.
Piero Ignazi ha detto: il Pd dovrebbe elogiare misure come il reddito di cittadinanza. D’accordo?
Sì, non è stato affrontato per tempo il problema di un sostegno alle persone che non lavorano. Ma altrettanto grave è la piaga, elusa da tutti perché è più difficile trovare una ricetta, della epidemia di lavoro povero. Chiedete a Salvini se è davvero favorevole a una redistribuzione della ricchezza circolante.
Una patrimoniale?
Magari bastasse. La piaga dei salari da fame si può affrontare e risolvere solo su scala europea. Il patriottismo sovranista è una favola che serve solo ad alimentare la guerra fra poveri: l’idea che potremmo distribuire fette di torta più generose se la spartizione fosse riservata agli italiani… Ha presente l’assessore di Monfalcone che il giorno dell’Epifania ha pubblicato quella filastrocca? “Vien dall’Africa il barcone per rubarvi la pensione”. La rima tra barcone e pensione è la truffa con cui si pretende di difendere il popolo contro le élite.