La Stampa 23.1.19
Mondoperaio, quando la politica era cultura
di Fabio Martini
C’era
un tempo in cui la politica era anche battaglia delle idee, idee
alimentate dallo studio analitico dei problemi, anziché risolte con un
tweet e con un post. Per decenni, grandi moltiplicatori di idee
divennero le riviste, animate da minoranze intellettuali - nazionaliste,
comuniste, cattoliche, laiche - che influenzarono profondamente la
politica. Di una di queste, Mondoperaio, è stato ricordato il 70°
compleanno con un numero speciale e un convegno al quale sono
intervenuti l’attuale direttore Luigi Covatta, Giuliano Amato, Paolo
Mieli, Enrico Morando. Due occasioni nelle quali si è ricordato in
particolare la stagione più feconda della rivista, fondata da Pietro
Nenni nel 1948: quella tra il ’75 il ’79.
Allora, un nutrito
gruppo di intellettuali simpatizzanti del Psi ma non organici - come
Norberto Bobbio, Massimo Salvadori, Paolo Sylos Labini, Giuliano Amato,
Luciano Cafagna, Lucio Colletti, Gino Giugni, Federico Mancini, Stefano
Rodotà - contribuirono alla modernizzazione della cultura politica della
sinistra con una serie di articoli fuori dal mainstream. Era un tempo
nel quale - come ha scritto Ernesto Galli della Loggia, uno dei
protagonisti di quella stagione - «c’erano ancora i partiti, quelli
veri, quelli che avevano fatto la storia del Paese, ma il futuro
sembrava sorridere solo a uno di loro, al partito comunista».
Sotto
la direzione di un intellettuale schivo come Federico Coen, furono
dissacrati totem come Gramsci, Togliatti e Marx, si sostenne il dissenso
dell’Est europeo, furono «riscoperti» personaggi come Rosselli e
Bernstein. Craxi, che inizialmente comprese l’utilità di lasciare la
briglia sciolta a intellettuali così controcorrente, per qualche anno
incoraggiò l’esperienza, poi diventò freddo.
Polemiche taglienti,
quelle di Mondoperaio, ma che mai puntarono alla delegittimazione
personale e intellettuale degli avversari. Una misura, nella critica
agli avversari, che derivava da una tradizione libertaria tipicamente
socialista e che aveva resistito anche negli anni della guerra fredda.
Quella ritrosia a trasformare la polemica politica in polemica
personalizzata, tipica di stagioni più recenti, è stata spiegata da
Giuliano Amato con una ragione in più: «Allora c’era un crinale sacro:
mentre i fascisti attaccavano le persone, per noi anche la persona più
sgradevole era da attaccare per le sue idee. Oggi si è perso il senso di
quel crinale, perché abbiamo perso il senso di ciò che è fascista,
perché ciò che è fascista è entrato nella vita corrente della politica e
della cultura politica italiana. E questa è una cosa grave».