mercoledì 23 gennaio 2019

La Stampa 23.1.19
Mondoperaio, quando la politica era cultura
di Fabio Martini


C’era un tempo in cui la politica era anche battaglia delle idee, idee alimentate dallo studio analitico dei problemi, anziché risolte con un tweet e con un post. Per decenni, grandi moltiplicatori di idee divennero le riviste, animate da minoranze intellettuali - nazionaliste, comuniste, cattoliche, laiche - che influenzarono profondamente la politica. Di una di queste, Mondoperaio, è stato ricordato il 70° compleanno con un numero speciale e un convegno al quale sono intervenuti l’attuale direttore Luigi Covatta, Giuliano Amato, Paolo Mieli, Enrico Morando. Due occasioni nelle quali si è ricordato in particolare la stagione più feconda della rivista, fondata da Pietro Nenni nel 1948: quella tra il ’75 il ’79.
Allora, un nutrito gruppo di intellettuali simpatizzanti del Psi ma non organici - come Norberto Bobbio, Massimo Salvadori, Paolo Sylos Labini, Giuliano Amato, Luciano Cafagna, Lucio Colletti, Gino Giugni, Federico Mancini, Stefano Rodotà - contribuirono alla modernizzazione della cultura politica della sinistra con una serie di articoli fuori dal mainstream. Era un tempo nel quale - come ha scritto Ernesto Galli della Loggia, uno dei protagonisti di quella stagione - «c’erano ancora i partiti, quelli veri, quelli che avevano fatto la storia del Paese, ma il futuro sembrava sorridere solo a uno di loro, al partito comunista».
Sotto la direzione di un intellettuale schivo come Federico Coen, furono dissacrati totem come Gramsci, Togliatti e Marx, si sostenne il dissenso dell’Est europeo, furono «riscoperti» personaggi come Rosselli e Bernstein. Craxi, che inizialmente comprese l’utilità di lasciare la briglia sciolta a intellettuali così controcorrente, per qualche anno incoraggiò l’esperienza, poi diventò freddo.
Polemiche taglienti, quelle di Mondoperaio, ma che mai puntarono alla delegittimazione personale e intellettuale degli avversari. Una misura, nella critica agli avversari, che derivava da una tradizione libertaria tipicamente socialista e che aveva resistito anche negli anni della guerra fredda. Quella ritrosia a trasformare la polemica politica in polemica personalizzata, tipica di stagioni più recenti, è stata spiegata da Giuliano Amato con una ragione in più: «Allora c’era un crinale sacro: mentre i fascisti attaccavano le persone, per noi anche la persona più sgradevole era da attaccare per le sue idee. Oggi si è perso il senso di quel crinale, perché abbiamo perso il senso di ciò che è fascista, perché ciò che è fascista è entrato nella vita corrente della politica e della cultura politica italiana. E questa è una cosa grave».