Repubblica 23.1.19
Intervista a Joseph Stiglitz
“La ricchezza concentrata in poche mani minaccia la democrazia”
di Eugenio Occorsio
ROMA
«Ventisei super-ricchi detengono risorse pari al 50% più povero
dell’umanità? Mi amareggia ma non mi stupisce. È un trend progressivo,
inarrestabile: l’anno scorso la seconda di queste cifre era pari a non
più del 47%». Joseph Stiglitz, economista della Columbia University di
New York, legge gli sconfortanti dati dell’Oxfam, e condivide la
definizione sintetica dell’organizzazione inglese (basata a Nairobi):
“out of control”, una deriva fuori controllo.
«Dovrebbe
rifletterci chi continua a considerare l’America un modello: questa
piega degli eventi ha la sua radice proprio negli Stati Uniti».
Stiglitz, dopo aver vinto il premio Nobel nel 2001 per i suoi studi
sulle “asimmetrie” informative che influenzano i mercati, si dedica da
molti anni alla ricerca sulle diseguaglianze e sui loro effetti
devastanti in termini di sviluppo sociale e benessere collettivo: «Le
ingiustizie sociali sono arrivate a un punto tale da minacciare la
democrazia in tutto il mondo».
Perché, per la violenza che esplode nei movimenti di protesta come i “gilets jaunes”?
«C’è
anche il pericolo che qualche demagogo si impadronisca della rabbia
popolare. Le forme di attacco alla democrazia sono sofisticate e
subdole. Prendiamo l’America: c’è la manipolazione dei collegi
elettorali, e c’è chi dice anche i brogli. E spesso la sudditanza
psicologica dei cittadini di fronte ai ricchi. È come se dovessero
comandare per forza, e non solo sul posto di lavoro: io lo chiamo
“capitalismo manageriale”».
E i manager medesimi guadagnano centinaia di volte in più dei loro impiegati?
«Purtroppo
è così. Non c’è verso di correggere questa tendenza. Il Dodd-Frank Act,
le riforma finanziaria varata nel 2010 perché non si ripetessero gli
eccessi che avevano portato alla crisi, fissava paletti precisi sulle
retribuzioni degli amministratori delegati, a partire da quelli delle
banche, specie in termini di trasparenza: si voleva che gli azionisti
avessero ben chiaro cosa avrebbe guadagnato quel dirigente. Ma la lobby
dei super-ricchi, assistita dai migliori avvocati, è riuscita a non
rispettare questa disposizione, a calpestarla al momento dell’emanazione
dei regolamenti attuativi, insomma a non accettare limiti al proprio
potere economico. Il principio say and pay degli azionisti, parla e
paga, è stato disatteso. In 40 anni la quota dei redditi complessivi in
mano allo 0,1% della popolazione al top è quadruplicata, gli stipendi
del ceto medio sono fermi a 60 anni fa in termini reali. Ma c’è di
peggio: per molti le diseguaglianze sono una tragedia vera. Pensi alla
salute».
Per le carenze nell’assistenza universale?
«Non
solo. La sconvolgente situazione dei Paesi poveri è sotto gli occhi del
mondo. Ma anche nella stessa America, al di là delle mere statistiche
sul Pil ci sono 20 milioni di poveri dei quali fra i cinque e i dieci in
povertà assoluta: i repubblicani ora al potere sono riusciti a
smantellare buona parte dell’Obamacare: 13 milioni di americani sono di
nuovo privi di assistenza gratuita. Il tutto dettato dalle grandi
aziende. E vogliamo parlare delle tasse? La riforma fiscale di Trump ha
abbassato le aliquote per le aziende - il che suona come un aiuto agli
amici del presidente, ma potrebbe essere accettabile perché le imprese
sono tornate a investire - senza alzarle però sugli individui più
abbienti, come logica avrebbe richiesto.
Invece le ha aumentate per il ceto medio. Risultato, un impoverimento brutale e diffuso».
Lei cita l’America, ma le diseguaglianze non sono un problema solo americano, anzi.
«Certo,
sono diventate una costante in buona parte del mondo. E un dramma
collettivo senza pari nei Paesi emergenti. La Gran Bretagna è allineata
sul modello americano, la Germania sta un po’ meglio. Solo l’Australia è
riuscita a introdurre norme stringenti, e a farle rispettare, che
temperano lo strapotere economico dei capitani d’industria».
E l’Italia?
«Non
ho studiato bene le dinamiche italiane. Però c’è una regola generale. I
governi, specialmente quelli che tendono a destra, e sono sempre di più
nel mondo, dovrebbero stare attenti: non è vero che tassando meno i
ricchi i benefici ricadono poi sulla popolazione; è vero al contrario
che spesso più deregulation, e ancora di più quando il sistema
finanziario è preponderante rispetto all’economia reale, porta a più
diseguaglianze, quindi più povertà e ingiustizie».