Repubblica 21.1.19
Intervista a Maurizio Landini
Ex leader della Fiom, è uno dei candidati alla successione di Camusso alla guida della Cgil
"Che errore voler mescolare lotta alla povertà e sostegno al lavoro La Cgil non si spaccherà sul leader"
intervista di Roberto Mania
ROMA
«Una manovra miope, dal carattere recessivo con alcune derive
pericolose sul fronte del lavoro». Maurizio Landini, 57 anni, parla così
della legge di Bilancio e dei suoi provvedimenti cardine, reddito di
cittadinanza e "quota cento" per le pensioni. Ne parla alla vigilia del
diciottesimo congresso della Cgil che giovedì, a Bari, potrebbe
eleggerlo nuovo segretario generale al posto di Susanna Camusso.
Perché
questo giudizio così negativo? L’abbassamento dell’età pensionabile
così come una misura per contrastare la povertà sono sempre state tra le
richieste dei sindacati e anche della sinistra politica.
«Gli
interventi sono sbagliati nel merito ma anche nel metodo perché non si
può convocare i sindacati a cose fatte. Con tutti i limiti che possono
avere Cgil, Cisl e Uil rappresentano pur sempre 12 milioni di persone di
cui andrebbe tenuto conto. È un modo di procedere che non porta molto
lontano oltre a produrre una riduzione dello spazio democratico».
Veniamo al merito: perché no a quota cento?
«Perché
non è quota cento, è uno spot elettorale. Certo — e noi non siamo
contrari — ci sarà chi potrà lasciare il lavoro prima dell’età
pensionabile, ma solo con 62 anni e 38 di contributi, punto. Alla fine
riguarderà soprattutto uomini delle regioni settentrionali che hanno
lavorato in grandi imprese o nel pubblico impiego. Saranno escluse le
donne e le fasce di lavoratori più deboli. Il tutto viene spacciato come
l’abolizione della legge Fornero mentre non è vero: quella legge resta
sostanzialmente intatta».
Perché critica anche il reddito di
cittadinanza mentre da segretario della Fiom aveva auspicato una misura
per sostenere il reddito delle persone povere?
«Perché mescola due cose che andrebbero affrontate separatamente: il contrasto alla povertà e le politiche per il lavoro.
Ne è uscito fuori uno strumento ibrido, di difficile gestione che determinerà molta confusione.
Pensare
che la povertà si combatta con il lavoro è una semplificazione che non
vede la realtà fatta, purtroppo, di tanta gente che pur lavorando si
trova in condizioni di povertà. Secondo noi bisognava rafforzare il Rei
(il reddito di inclusione), mantenendo il coinvolgimento dei Comuni.
Oggi si affida tutto ai centri per l’impiego, che sono sottorganico,
pieni di lavoratori precari ai quali si aggiungeranno i cosiddetti
navigator, assunti con contratto di collaborazione. Non mi pare una
genialata. E poi l’idea di condizionare l’erogazione del reddito al
fatto di essere residente da almeno dieci anni in Italia non mi sembra
rispetti i principi della Costituzione».
Chi riceverà il reddito dovrà accettare un percorso che dovrebbe portarlo al lavoro.
Perché non va bene?
«Perché il lavoro non lo creano i centri per l’impiego: servono gli investimenti, pubblici e privati».
Già,
ma stiamo entrando in una nuova fase recessiva. Lei condivide le
previsioni della Banca d’Italia secondo cui Pil si ridurrà di quasi
mezzo punto quest’anno?
«Non ho dubbi che lo scenario sia quello.
Stanno frenando tutti: dagli Stati Uniti all’Europa. Da noi la
situazione è peggiore perché cresciamo da anni meno degli altri, perché
abbiamo meno innovazione e meno produttività, perché abbiamo più
precarietà e più disoccupazione giovanile, perché si sono accresciute le
diseguaglianze sociali e territoriali. Avremmo bisogno di più
investimenti, dopo il crollo del 30% tra il 2008 e il 2018, e invece il
governo li ha ridotti. È una scelta davvero regressiva. A parte il
contesto internazionale c’è una responsabilità diretta di questo governo
che fa propaganda e non pensa al futuro dei giovani. Contro queste
politiche e a sostegno delle nostre proposte anche sul fisco, il sud, il
pubblico, saremo in piazza insieme a Cisl e Uil, il 9 febbraio».
C’è
chi dice che lei abbia strizzato l’occhio al M5S, ora al governo,
criticando senza sconti i governi di centro sinistra. Cosa replica?
«Che
io in tasca ho solo due tessere: quella dei partigiani dell’Anpi e
quella della Cgil. Per il resto il mio mestiere è fare il sindacalista
per il quale non ci sono governi amici o nemici. La Cgil ha criticato il
Jobs Act perché cancellava i diritti dei lavoratori. Non abbiamo
cambiato idea. E abbiamo compreso ben prima del 4 marzo lo scollamento
tra il mondo del lavoro e la sinistra che tradizionalmente lo aveva
rappresentato. Ma questo governo, al di là degli annunci, ha lasciato il
Jobs Act com’era, l’articolo 18 non è stato ripristinato».
Da
domani si svolgerà il congresso della Cgil. Lei è stato candidato alla
segreteria generale dopo una decisione presa a maggioranza dalla
segreteria confederale su proposta di Susanna Camusso.
Una scelta
contrastata che ha portato Vincenzo Colla a candidarsi in alternativa.
Il paradosso è che entrambi sostenete la mozione che ha ottenuto il 98%
dei consensi.
Come finirà il congresso?
«Intanto vorrei
sottolineare che in una stagione in cui si pensa di sostituire la
democrazia con i social media, la Cgil ha dato dimostrazione di una
grande operazione di democrazia partecipata: otto mesi di confronto,
migliaia di congressi che hanno coinvolto tutte le strutture che
rappresentano i nostri 5,5 milioni di iscritti. Ne è emersa una Cgil
unita, con una sua visione autonoma e un suo progetto per il Paese.
Abbiamo rinnovato i gruppi dirigenti senza spaccature, la stessa cosa
accadrà a Bari. Il segretario generale è uno solo. Non ci saranno
rotture per scegliere chi prenderà il posto di Susanna Camusso che ha
guidato con capacità la Cgil in una fase molto complicata. Troveremo
tutti insieme la soluzione, con intelligenza e nel rispetto delle nostre
regole democratiche».
Chi farà il passo indietro, lei o Colla?
«Non ci sarà bisogno di passi indietro. La Cgil è un’organizzazione collettiva, non ci sono in ballo ambizioni personali.
Noi
tutti siamo a disposizione di un progetto collettivo per
l’emancipazione del mondo del lavoro e per l’estensione della
democrazia».