Repubblica 19.1.19
Fuga dagli ospedali
Francia e Germania si prendono i migliori medici italiani
Cacciatori
di teste da Parigi e Berlino: offrono contratto immediato e stipendio
doppio Contromossa delle Regioni che vanno a reclutare studenti e
specializzandi in Slovenia
di Michele Bocci
Il dottor Michele Valente di Vicenza ogni tanto riceve una chiamata dalla Francia.
A parlare è una persona che gli chiede se conosce colleghi disposti a trasferirsi in quel Paese a lavorare.
Soprattutto
in zone rurali, soprattutto come medici di famiglia. «Non so come hanno
avuto il mio numero ma so che sono insistenti, mandano anche email».
Non è un caso che il dottor Valente venga contattato: è il presidente
dell’Ordine dei medici della sua città. Le agenzie di reclutamento di
camici bianchi di mezza Europa, dalla Germania alla Francia fino ai
Paesi scandinavi e il Regno Unito, stanno puntando sull’Italia e un modo
per farsi conoscere ed entrare in contatto con papabili per il
trasferimento è quello di battere gli ordini professionali provinciali,
in particolare del Nord. Cercano di fissare incontri, colloqui,
conferenze di presentazione. «I francesi che mi contattano sono persone
molto preparate, prospettano stipendi alti, da 150mila euro in su
all’anno, per posti in località piccole dove non si riescono a mandare i
medici del loro sistema sanitario», dice Valente, che di recente ha
discusso dell’invadenza di queste agenzie in una riunione con gli altri
presidenti veneti: «Circa il 20% dei 150 nuovi iscritti al mio ordine
passa a salutare perché se ne va all’estero». Qualcuno lascia anche
subito dopo la laurea e prima della specializzazione.
Che in
Italia ci sia un problema con il reclutamento dei camici bianchi
ospedalieri è un fatto ormai assodato. In più, di recente vengono
segnalate anche carenze di medici di famiglia: il nostro Paese è il
decimo in Europa per numero di questi professionisti ogni 100mila
abitanti secondo Eurostat. E come dice anche il sindacato di categoria,
Fimmg, l’età media è sempre più alta. I tanti pensionamenti, tra chi
lavora sul territorio e in ospedale, non vengono compensati dal numero
di giovani che si specializzano, molti dei quali restano comunque fuori
dal sistema perché in molte Regioni le assuzioni sono praticamente
bloccate.
E così c’è chi, appena diventato specialista o anche prima, cerca una sistemazione all’estero.
Mentre
l’Italia vede andare via professionisti dei quali pure avrebbe bisogno,
qualcuno da qui parte per altri Paesi alla ricerca di medici. È uno dei
controsensi della situazione. Di recente funzionari proprio della
Regione Veneto sono andati all’università di medicina di Lubiana a
cercare camici bianchi disposti a venire da noi.
Su quanti siano i
giovani medici italiani che vanno all’estero girano cifre non sempre
omogenee. Fino al 2015 Enpam (l’ente previdenziale dei dottori) e
Eurispes, ne hanno calcolati ben mille all’anno per dieci anni. Adesso
le cose sarebbero pure peggiorate ma non è facile avere un dato preciso
perché ci sono tante variabili, legate ad esempio alla durata della
permanenza all’estero o al Paese scelto per trovare lavoro.
«Una
cosa è certa, le agenzie di cacciatori di teste sono molto pressanti ma
la maggior parte dei colleghi fa da solo, attraverso internet o
consultando chi già si è spostato». A parlare è Matteo Riccò, un medico
del lavoro di Reggio Emilia che è stato per un anno in Germania e di
recente ha realizzato una ricerca sull’emigrazione sanitaria. L’ha
elaborata grazie a una serie di questionari compilati da quasi 500
camici bianchi per poi presentarla al congresso della Società italiana
di Igiene.
Intanto il primo Paese di destinazione è la Gran
Bretagna (27% delle scelte), seguono Germania (24%) Svizzera (22%) e
Francia (18%). C’è addirittura un 16% di coloro che partono che non
conosce ancora la lingua del Paese dove andrà a lavorare, questo per
dire quanto è forte la motivazione a lasciare l’Italia.
L’80%
ritiene che gli stipendi in Italia non siano adeguati al lavoro svolto,
il 78% che «la selezione dei professionisti italiani non è lineare».
Qualcuno parte dopo la laurea perché qui «la formazione dei
professionisti è insufficiente rispetto agli standard internazionali»
(68%).
«Il nuovo fenomeno è l’uscita prima della specializzazione.
È nato soprattutto dopo gli accordi europei che liberalizzato il titolo
di studio, la laurea in medicina», spiega sempre Riccò: «Probabilmente
andare via a questo punto è diventata una cosa un po’ di moda, ma alle
spalle ha problemi veri come l’effetto imbuto delle scuole di
specializzazione italiane».
Ad attrarre i camici bianchi sono le
economie più ricche, i Paesi che pagano stipendi più alti «come Usa,
Canada e Australia — prosegue Riccò — E i nostri dottori hanno una
caratteristica che li spinge verso l’estero: sono formati bene e hanno
stipendi che ritengono non adeguati».
Detta così fa un po’ dispiacere.
La protesta
Un
momento del sit in di venerdì scorso organizzato dai sindacati dei
medici davanti al ministero della Funzione pubblica a Roma per chiedere
rinnovo del contratto e sblocco del turn over