Repubblica 17.1.19
Effetto Matera l’eterno ritorno della città magica
di Marino Niola
Da
Pascoli a Carlo Levi. Da Visconti al "Cristo" secondo Pasolini Così la
terra dei Sassi, che sabato diventa ufficialmente capitale europea della
cultura 2019, ha nutrito il nostro immaginario e le nostre utopie
sociali
Un imbuto di case e grotte simile all’inferno di Dante.
Così
appare Matera allo sguardo spaesato e spaesante di Carlo Levi. Che di
fatto consegna la città dei Sassi all’emblematica politica italiana.
Topografia di una società abitata da poveri diavoli. Ma al tempo stesso
riepilogo simbolico del mondo contadino, visto in tutta la sua
lontananza dalle idee di sviluppo che dopo la guerra vanno per la
maggiore nel Paese. È in questo clima che la nuova capitale europea
della cultura 2019 - inaugurazione ufficiale sabato prossimo con
l’arrivo di Mattarella e Conte diventa, nel male ma anche nel bene, un
luogo topico dell’immaginario nazionale. La perfetta sintesi metaforica
di un Mezzogiorno geografico e antropologico, economico e poetico,
antico e primitivo, visionario e selvaggio. Così per esempio lo
definisce Pier Paolo Pasolini, che fa dello scenario lunare dei Sassi la
location ideale del suo Calvario all’italiana. Non a caso disdegna la
Palestina reale, a suo avviso devastata dalla nuova edilizia, e ambienta
Il Vangelo secondo Matteo in quella Terrasanta ancora immune dalla
modernizzazione.
Del resto, una sorta di atavismo arcaico, più
geologico che storico, impregna da sempre le convenzioni rappresentative
della cavea materana. Non a caso Giovanni Pascoli, che dal 1882 al 1884
insegna latino e greco nel liceo locale, definisce balze, calanchi,
spelonche e abituri "sinistramente belli" e descrive gli abitanti «nel
loro selvatico e antiquato costume "girelloni per la piazza"». E oltre
un secolo prima di lui il filosofo inglese George Berkeley parla di
un’ellissi di case che precipitano l’una sull’altra, con la vertiginosa
verticalità dei palchi di un teatro, con «i morti al di sopra dei vivi».
Insomma, per effetto di un secolare incrocio di sguardi e
controsguardi, visioni e suggestioni, la città lucana diventa il simbolo
di un Sud dell’anima, stretto fra emigrazione e possessione, religione e
superstizione.
Memoria remota di un binario morto del progresso.
Lontana dalle grandi direttrici dello sviluppo industriale. Residuo
inerte di un passato arcaico nel suo abitare e nelle sue abitudini.
Una
perturbante archeologia sociale che sopravvive negli usi e costumi di
quella corte dei miracoli rimasta prigioniera dei Sassi fino alla metà
del Novecento. Come in una tana, dove una storia andata in polvere ha
lasciato il posto ad un’anteriorità degradata, fatta di sopravvivenze
umane e di relitti culturali. Eppure, proprio in quei relitti culturali e
persino in quell’habitat suggestivamente malsano, molti intellettuali
del dopoguerra vedono un simbolo di rinascita.
E perfino una sorta
di paradigma comunitario e anti-individualista partorito dalle viscere
esauste, ma feconde, della condizione contadina. Un’autentica "filosofia
della miseria", come la chiama il sociologo americano Frederick
Friedman. Che
Sopra Pier Paolo Pasolini (a destra) a Matera con
Enrique Irazoqui, protagonista del suo Il Vangelo secondo Matteo (1964)
collabora con Adriano Olivetti nei lavori della Commissione per lo
studio della città e dell’agro di Matera. Siamo all’inizio degli anni
Cinquanta e la città diventa per personaggi come Manlio Rossi Doria,
Tommaso Fiore, Ludovico Quaroni, Michele Valori e tanti altri, una
sollecitazione a ripensare lo sviluppo guardando al Sud, non solo come
territorio da modernizzare, ma come depositario di un capitale culturale
da impiegare nell’interesse dell’Italia intera.
Un universo di
valori soffocati dalla miseria, come dice Carlo Levi, ma pieno di una
ricchezza che bisogna riconoscere e conservare. Non per nulla Olivetti
sceglie di aprire il primo numero della sua celebre rivista Comunità con
un editoriale di Ignazio Silone intitolato Il mondo che nasce. Qualche
anno dopo, quando il dibattito sui Sassi è ancora una ferita aperta —
vergogna nazionale o modello di omeostasi contadina — Luchino Visconti
entra nella questione con Rocco e i suoi fratelli. Il film che racconta
il difficile riscatto di una famiglia lucana, combinando il tema biblico
di Giuseppe e dei suoi fratelli, rivisto alla luce di Thomas Mann, con
il nome di Rocco Scotellaro, il sindaco-poeta simbolo delle lotte
contadine nel materano.
Così, nel suo piccolo, Matera diventa una
città-mondo in miniatura, un laboratorio sociale in perenne attività.
Che esercita un’attrazione irresistibile su intellettuali come Pasolini,
che ne fa la scena di un cortocircuito teologico tra Cristo e i poveri
cristi. Ed Ernesto de Martino, padre dell’antropologia italiana, che
trasforma queste terre nell’erma bifronte di un Meridione ancora immerso
nel mondo magico, ma attraversato da fermenti di emancipazione laica.
Una duplicità quasi postmoderna, che de Martino individua nella figura
di Francesca Armento, madre di Rocco Scotellaro, e soprattutto paladina
nei suoi racconti del superamento di antiche pratiche superstiziose come
il lamento funebre.
Eppure, giunta a Portici – dove Rocco si era
trasferito chiamato a lavorare alla facoltà di Agraria da Manlio Rossi
Doria, che poi curerà il suo postumo Contadini del Sud — davanti al
figlio sul letto di morte Francesca fa precipitare il suo dolore nel
metro luttuoso della nenia tradizionale e strilla: «Figlio mio, che
sonno lungo che ti fai, perché non mi rispondi?». In fondo, il riscatto
di Matera è l’effetto di un secolare passaggio di testimone tra uomini e
donne di grande ingegno e di buona volontà. E forse, con la sfida da
capitale europea, per la prima volta è davvero a portata di mano.