Repubblica 17.1.19
Di Maio e Salvini, perché resiste il fragile patto
di Stefano Folli
È
un episodio minore, ma emblematico dello Stato dei rapporti nella
maggioranza. Il ministro dell’Ambiente indica un nome per dirigere il
parco naturale del Circeo (un generale dei Carabinieri) e la Commissione
parlamentare lo boccia. Il duopolio 5S-Lega, sulla carta inespugnabile,
si divide: i rappresentanti del Carroccio votano con Forza Italia e il
candidato non passa.
È plausibile che l’incidente sarà ricomposto.
Salvini, che probabilmente non era al corrente della vicenda, ha fatto
sapere di volerla ricomporre. Il ministro Costa ha spiegato che in casi
come questi la pronuncia delle commissioni non è vincolante. Il Circeo
avrà un presidente e certo il premier Conte non cadrà su questo
inciampo.
Tuttavia resta il fatto che quasi ogni giorno si
determina un paradosso: Lega e Cinque Stelle tendono a divaricarsi sul
merito delle questioni con una frequenza inquietante. Dal reddito di
cittadinanza ai parchi nazionali, dalla Tav agli immigrati, non c’è
argomento su cui i due partiti riescano a giovarsi di un’intesa
spontanea tra loro. L’accordo è sempre il frutto di una trattativa, di
una messa a punto, di un intervento riparatore.
Al tempo stesso il
patto politico — per meglio dire, il patto di convenienza — regge. Sui
singoli punti ogni giorno si rischia l’infortunio, ma nessuno dei due
capi, né Salvini né tantomeno Di Maio, ha la minima intenzione di
rovesciare il tavolo e rinunciare ai benefici del governo. Naturalmente
la qualità dell’azione politica è modesta, ma i diretti interessati se
ne curano poco.
Salvini cura i suoi cavalli di battaglia, cioè i
suoi temi prediletti (immigrazione, "legge e ordine"), e per il resto
aspetta. Aspetta di vedere il rapporto di forza con il M5S volgersi a
suo vantaggio. Accadrà forse con il voto parziale nelle regioni
(Abruzzo, Sardegna) e di sicuro alle europee di maggio. Se Salvini
riesce a ribaltare in modo netto lo squilibrio con i 5S, si volta
pagina.
Ciò che oggi appare intangibile — il rapporto con Di Maio —
può andare in pezzi in un attimo, ma solo dopo che gli italiani avranno
votato, sia pure in un’elezione che vale per il Parlamento europeo e
lascia intatti a Roma i dati del 4 marzo. Quello che peraltro non si può
sottovalutare, è l’impatto psicologico del risultato di maggio. Nel
2014 Renzi, allora trionfante, ci costruì la sua breve età dell’oro.
Salvini si appresta a fare lo stesso, se il gioco di prestigio
quotidiano lo assiste ancora per qualche mese. Infatti le cifre
dell’economia sono pessime, come insiste a spiegare il ministro Tria
parlando di "stagnazione", e le risorse da mettere in campo sono minime.
Il nuovo rinvio per il reddito di cittadinanza e per la "quota 100"
pensionistica rappresenta un fragile velo dietro il quale s’intravede la
realtà: i soldi non ci sono oppure risultano insufficienti per
alimentare le illusioni.
In questo quadro la discordia quotidiana,
persino sul presidente del parco del Circeo, nasce dalla mancanza di un
vero cemento politico nella coalizione. Quando Salvini e Di Maio si
distraggono, l’alleanza subito scricchiola. La differenza tra i due è
che i Cinque Stelle vogliono solo durare al governo il più a lungo
possibile. Non dispongono di vere carte di ricambio e lo sanno. La Lega
invece coltiva, e non da oggi, l’ambizione di ricostruire uno
schieramento di destra-centro con a capo Salvini e modulato sulla Cdu
bavarese, nella migliore delle ipotesi, o sul partito dell’ungherese
Orban, nella peggiore. Il voto europeo potrebbe inaugurare la nuova fase
del salvinismo, raccordato con la destra del Partito Popolare europeo.