Repubblica 16.1.19
La democrazia e i suoi eversori
di Ezio Mauro
Quasi
si portasse addosso l’intera parabola tragica del terrorismo italiano,
il caso di Cesare Battisti che è finito ieri in carcere a Oristano dopo
37 anni di latitanza va molto al di là di una vicenda giudiziaria
infinita, con le famiglie delle vittime costrette ad attendere l’esito
della giustizia per quasi quattro decenni, e lo Stato italiano tenuto in
scacco da complicità politiche, criminali e intellettuali di mezzo
mondo.
Proviamo a capire.
Battisti, che oggi ha 64 anni,
come molti della sua generazione e di quella immediatamente precedente
si radicalizza in carcere, dov’è finito per reati di criminalità comune e
dove incontra i Pac, i "Proletari armati per il comunismo", una delle
sigle minori della galassia eversiva di estrema sinistra, che tra il
1977 e il 1988 firmano numerose azioni terroristiche contro persone
collegate al mondo delle fabbriche e delle carceri.
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segue
dalla prima pagina È un agente di custodia, Antonio Santoro, la prima
vittima uccisa a Udine da un commando in cui Cesare Battisti è in prima
linea a sparare, mentre partecipa con compiti di copertura
all’assassinio del macellaio Lino Sabbadin, "colpevole" di aver usato la
pistola contro un rapinatore, così come il gioielliere Pierluigi
Torregiani, colpito a morte lo stesso giorno. Due mesi dopo, i Pac
ammazzeranno a Milano l’agente di polizia Andrea Campagna, e sarà ancora
Battisti a fare fuoco.
Arrestato a giugno del 1979 anche grazie
alla confessione di alcuni pentiti, il terrorista è condannato una prima
volta a 12 anni per banda armata, ma nel 1981 evade dal carcere di
Frosinone e trova rifugio in Francia. Qui lo seguirà la condanna in
contumacia per i quattro omicidi: ma la " dottrina Mitterrand" ( che
blocca l’estradizione in Paesi con un sistema giudiziario «non
corrispondente all’idea che la Francia ha delle libertà») lo protegge,
proprio a causa della condanna in contumacia, che Parigi non prevede.
Quando
arriverà l’estradizione — chiarendo che la "dottrina Mitterrand" non si
applica a fatti di sangue — Battisti che era entrato e uscito dal
carcere è già fuggito in Brasile dove nel 2009 ottiene lo status di "
rifugiato", e nel 2012 un visto permanente dal presidente Lula.
Poi
il rivolgimento politico brasiliano, l’avvento di Bolsonaro e la
minaccia di estradizione: quindi la fuga in Bolivia, e ieri la consegna
all’Italia, che con un lavoro di intelligence aveva ristretto il cerchio
attorno al fuggitivo.
Tutto questo non sarebbe stato possibile se
nel mondo occidentale dove ha scorrazzato per 37 anni Battisti, ci
fosse a distanza ormai di decenni un giudizio serio, motivato e
condiviso sulla stagione italiana degli anni di piombo. Per dire con
chiarezza e senza equivoci che allora un’ideologia è impazzita nella
metà campo della sinistra, portando centinaia di giovani a praticare la
rivoluzione armata nel cuore della libera Europa, uccidendo persone
inermi che credevano di vivere in pace in un Paese democratico.
L’ambiguità
del giudizio sul terrorismo, unita all’attività di romanziere che
Battisti svolgeva a Parigi gli ha consentito di incarnare agli occhi di
troppe persone il ruolo dell’intellettuale perseguitato, mentre è stato
un assassino, per il quale l’ubriacatura ideologica non può essere
un’attenuante.
Va ripetuto oggi che la vicenda si conclude con
quel che abbiamo sempre sostenuto: il terrorismo dei Pac, delle Brigate
Rosse, di Prima Linea e delle altre sigle di estrema sinistra è stato un
fenomeno criminale contro la democrazia e prima di tutto contro uomini e
donne che non potevano difendersi. Non vale invocare ( come ha fatto
spesso Battisti, senza mai pentirsi) le bombe fasciste e le stragi di
Stato, cioè la debolezza e la compromissione della Repubblica di fronte
all’eversione di destra, che va giudicata e condannata autonomamente.
Sia
pur fragile e a tratti infedele, quella del dopoguerra in Italia è
sempre stata una democrazia, e come tale doveva essere difesa e
preservata, anche da chi era all’opposizione nella lunga età
democristiana, e chiedeva un cambiamento. Le vittime di Battisti, e di
tutti gli altri terroristi, sono gli unici " innocenti" di questa guerra
combattuta da una sola parte, una guerra che tuttavia lo Stato è
riuscito a vincere, con l’aiuto di tutte le forze politiche
democratiche, come testimoniano le bandiere bianche e rosse della Dc e
del Pci insieme in piazza contro il delitto Moro.
Dovrebbe
ricordarlo il ministro dell’Interno che mangia su Facebook il tiramisù
«alla faccia di un assassino comunista»: Battisti è certo un assassino e
sicuramente è stato parte di quella deviazione comunista che ha preso
le armi, e che però il Pci ha combattuto insieme con gli altri partiti.
Ma
altrettanto certamente la lotta al terrorismo si combatte tutti insieme
e quando si vince è una vittoria della democrazia — quindi di tutti —
che non va usata a fini di parte, immiserendola. Così come quando si
augura che Battisti «marcisca in carcere», il ministro dovrebbe
ricordare la Costituzione, dov’è scritto all’articolo 27 che « le pene
devono tendere alla rieducazione del condannato», non alla vendetta.
Perché,
come dimostra la lezione degli anni di piombo, di fronte al terrorismo
la democrazia ha il diritto di difendersi: ma insieme ha il dovere di
farlo restando se stessa.