martedì 15 gennaio 2019

La Stampa 15.1.19
Giustizia spettacolo a Ciampino
di Marcello Sorgi


È davvero difficile comprendere quale logica abbia spinto il ministro Salvini a spettacolarizzare in modo impensabile l’arresto e il rientro in Italia del terrorista Cesare Battisti. Se l’obiettivo era quello di mostrare la durezza di cui è capace lo Stato in versione giallo-verde, il risultato ottenuto è l’opposto, davvero si è rischiato di trasformare un assassino condannato all’ergastolo e finalmente assicurato alla giustizia in una specie di eroe.
Incredibile che Salvini e il suo collega Guardasigilli Bonafede, che lo
affiancava giusto per raccogliere un po’ di gloria anche per i 5 Stelle, non se ne siano accorti.
Due ministri all’aeroporto ad accogliere un latitante preso dopo 37 anni. Telecamere autorizzate dal governo a filmare in primo piano ogni mossa del detenuto che sta per essere trasportato nelle patrie galere. E al centro della scena, lui, Battisti, sudicio, stazzonato, con la barba lunga, perché non gli è stato consentito neppure di lavarsi o cambiarsi d’abito (cosa invece abituale per chiunque incorra nell’inconveniente di un arresto). Il «ghigno» descritto dal responsabile del Viminale (ovviamente in divisa della polizia) nella diretta streaming di cui ha vantato «trentamila spettatori», essendone l’instancabile conduttore, è apparso in realtà uno sguardo rassegnato, a tratti stralunato e meravigliato, dato che certamente non s’aspettava un’accoglienza pubblica come quella che gli è toccata.
Ora, che la macchina della sicurezza, quando fa un colpo importante, cerchi ovviamente di valorizzarlo, ci sta pure. Ma neanche a Totò Riina, vale a dire il capo indiscusso della mafia, che tra l’altro fu preso in giacca di cachemire e camicia di seta, era stata riservata un’ostensione del genere. Picchi di crudeltà furono toccati 25 anni fa ai tempi di Tangentopoli, come quando il collaboratore di Forlani, Enzo Carra, venne condotto in tribunale con gli schiavettoni, certe manette pesanti d’altri tempi avvitate sui polsi. Non a caso la più grande inchiesta sulla corruzione fu scandita da suicidi di detenuti eccellenti, in carcere e fuori.
Non è dato sapere che idea abbia di sé Cesare Battisti. Per quanto affetto da delirio narcisistico come tutti i terroristi, è impossibile che si consideri una figura-chiave degli Anni di piombo, avendo avuto un ruolo tutto sommato marginale ed essendo stato condannato, in parte, anche per reati comuni senza alcuna matrice politica. Ma se appunto il latitante catturato sabato si considerava un protagonista minore di un’epoca tragica chiusa da tempo, il modo trionfale con cui è stato ricevuto a Ciampino, la mostrificazione messa in atto da Salvini con il suo solito linguaggio truculento («Dovrà marcire in galera!»), il mancato rispetto di normali diritti, come ripulirsi e rivestirsi prima di entrare in carcere, lo avranno convinto che non è così, e l’Italia ha voluto dargli un posto nella storia - sia pure nella storia criminale - più importante di quello che gli spettava.
Purtroppo non è la prima volta che un governo prende un abbaglio del genere. Quando Silvia Baraldini, la componente delle Black Liberation Army arrestata negli Stati Uniti fu estradata in Italia nel 1999 (per essere poi scarcerata grazie all’indulto nel 2006, malgrado una condanna durissima non scontata per intero), l’allora ministro di Giustizia Diliberto fu a un passo dal recarsi all’aeroporto per accoglierla. Né si era riusciti a trattenere il deputato di Rifondazione comunista Ramon Mantovani, quando un anno prima, nel novembre 1998, aveva accompagnato in Italia il leader del Partito curdo (e armato) dei Lavoratori Ocalan, che causò una delle grane internazionali più complicate al neonato governo D’Alema. Per non dire di Cossiga che voleva nominare senatore a vita Renato Curcio, il fondatore delle Br.
Voglia di apparire, mancanza di senso della misura, un’idea della comunicazione politica ormai vicina al parossismo, ieri e oggi, trascinano ministri di diversa estrazione nel paradosso. Eppure anche Salvini dovrà rendersi conto che Battisti, benché ergastolano e responsabile di delitti efferati, adesso è un detenuto come gli altri. Scontati i sei mesi di isolamento, potrà incontrare i familiari, chiedere, tramite gli avvocati, una revisione dei processi che lo riguardano, collaborare, se vorrà, con le forze di polizia. E soprattutto non potrà essere sottoposto a tortura, dato che il nostro ordinamento non la prevede e in alcuni casi l’ha punita. Pensate come sarebbe stato diverso, se invece di queste quarantott’ore di commedia e tragedia attorno all’arresto di un terrorista di seconda fila, un laconico comunicato, solo quello, avesse annunciato che era già ristretto nella sua cella.