Corriere 15.1.19
Processi, vittime e carnefici: cinici strumenti di consenso
di Luigi Ferrarella
Già
pareva abbastanza, venerdì scorso, l’assedio dei familiari delle
vittime al Tribunale di Avellino e le minacce al giudice dopo la
sgradita sentenza sui 40 morti nella strage del bus sul viadotto
Acqualonga: verdetto «che mi fa incazzare», si era aggiunto a incendiare
la situazione un vicepremier, e che «assolve qualcuno che ha la
responsabilità dei morti», aveva stabilito senza Appello o Cassazione
l’altro vicepremier.
Ma da domenica gli stessi ministri di
Giustizia e Interno neppure fanno mancare la capitalizzazione del
dividendo politico ricavabile dall’esposizione minuto per minuto della
cattura-estradizione-incarcerazione del latitante Cesare Battisti,
persino plasticamente tra due ali di vicepremier dichiaranti da bordo
aeroporto al pari che da bordo web e tv.
La «passerella»,
criticata dalle opposizioni, è ancora il meno: contano ben più i
messaggi così trasmessi ai cittadini. Il processo? Lo si fa decidere al
televoto dei parenti delle vittime, tanto più strumentalizzate nel loro
dolore quanto meno aiutate a comprendere il significato di una sentenza
che in parte riconosceva proprio anche responsabilità dei gestori
autostradali. Il giudice? Se si discosta dalla pretesa volontà popolare
lo si può minacciare, senza che ciò desti scandalo come invece si
percepiva (giustamente) ai tempi di Berlusconi. Il carcere? Parola di
ministro, è un posto dove si «deve fare marcire» le persone. Persone,
appunto. E invece la novità è che un assassino smette di restare
persona, da sottoporre alla pena inflittagli per aver ucciso altre
persone, ma è fatto passare attraverso un sovrappiù di rituale di
degradazione, scandito proprio dai titolari della sicurezza pubblica a
colpi di «maledetto» e «infame». In nome (profanato) delle vittime,
cinicamente strumentalizzate in veicoli di consenso.