Repubblica 14.1.19
Le idee
Chi manipola la collettività è la vera élite
L’autrice
Mariana Mazzucato
Nata
a Roma, è professoressa di Economia alla University College London. Il
suo nuovo libro è Il valore di tutto. Chi lo produce e chi lo sottrae
nell’economia globale (Laterza)
di Mariana Mazzucato
Ma davvero è tutta colpa dell’Unione Europea e dei "poteri forti"?
Capire
realmente i meccanismi di Bruxelles e attivarci per modificarne i
difetti potrebbe farci riscoprire cittadini consapevoli. E al riparo
dalle semplificazioni
Nel suo articolo dell’11 gennaio Alessandro
Baricco riassume un dibattito largamente diffuso e trattato in diversi
ottimi recenti libri come Strangers in their own land di Arlie
Hochschild. Secondo Baricco, la crisi che stiamo attraversando è
innanzitutto una crisi di fiducia delle masse nei confronti delle élite.
Mi pare una lettura semplificante. Se non comprendiamo chi sono e come
funzionano le élite, rischiamo di consolidarne le posizioni e il potere.
Quindi, raccogliendo la sua sfida a "non farci fottere dalla apparente
semplicità delle cose", proviamo a guardare meglio dentro la sua
analisi.
Baricco afferma che la democrazia funziona quando le
élite, pur proteggendo e incrementando i loro privilegi, riescono
magnanimamente a dispensare una forma di convivenza accettabile per le
masse. Non credo sia così. La democrazia ha creato società meno inique
quando gli "esclusi" hanno saputo rappresentarsi e strappare alle élite
concessioni che hanno reso meno penosa e più piena la vita di tutti
(spesso anche delle élite stesse). Ma qui non c’è niente di
deterministico. Ci sono voluti sindacati, movimenti ecologisti,
movimenti femministi. Le otto ore di lavoro, condizioni decenti in
fabbrica, il sistema sanitario nazionale, il voto alle donne, anche qui
si potrebbe andare avanti per pagine... non sono stati graziosamente
concessi dalle élite.
Anzi, in quasi tutti questi casi, le élite hanno pervicacemente tentato di negare questi diritti.
Sono
state conquiste costate carissime ai milioni che hanno saputo
organizzarsi, rappresentarsi, creando piattaforme comuni e forme di
dibattito, ma anche di lotta. Certo, è vero che queste conquiste si sono
consolidate quando una parte delle classi agiate le ha riconosciute
come giuste e non più rimandabili.
Ma c’è voluto il sangue. E,
ancora più importante, dopo aver ottenuto il minimo dei diritti
necessari, queste "non élite" hanno anche saputo tenerli in vita e
innovarli, riempirli di senso. Prendiamo la scuola per tutti o il
sistema sanitario nazionale. Milioni di donne e uomini, che non sono
élite e a cui non interessa essere élite, hanno lavorato e continuano a
lavorare giorno dopo giorno nelle scuole e negli ospedali, combattendo
con mezzi limitati contro le inerzie sfinenti dell’ignoranza e della
malattia, contro l’ignavia dei colleghi scansafatiche e le furberie
degli amorali, per far sì che quelle istituzioni collettive fossero bene
comune e dispensassero il meglio per tutti. Dove sono questi milioni
nell’equazione di Baricco?
È ristretta la veduta di chi considera
solo le élite che incontra ogni giorno, in quel recinto protetto che
Baricco pennella così bene, e l’oklos, la massa che sbraita in tv con i
gilerini gialli. Guardando così, sembra che tutto stia avvenendo
irrevocabilmente, come per influsso astrale. Nel mio libro Il valore di
tutto parlo del bisogno di riscoprire il valore collettivo, proprio per
lottare contro la logica delle disuguaglianze che hanno creato rabbia
nella "gente".
L’odio per le élite, l’averne abbastanza, hanno
ragioni profonde, inclusa la sequenza dei trattati comunitari, fatti
trangugiare come oche da ingrasso ai cittadini europei.
Ma questo
odio è stato attizzato, rinfocolato e indirizzato da chi scientemente ha
costruito una narrazione semplificatoria, ma articolata, e ha capito
prima di tutti che la diffusione planetaria del web avrebbe permesso di
registrare ed elaborare miliardi di frammenti, componendoli in tanti
ritratti individuali. Così da poter inoculare quella narrazione nei
soggetti predisposti, con gli ingredienti giusti e il dosaggio
necessario ad indirizzare l’odio e quindi usarlo. Il problema non è che
un italiano su due stia su Facebook: ma che cosa c’è dentro Facebook e
come lo usa chi lo controlla. E non succede tutto a Cupertino. Il
Movimento 5 Stelle, che continuiamo ad analizzare come movimento
ultramoderno e populista, è controllato da una piattaforma digitale
posseduta in termini pressoché feudali da una famiglia, i Casaleggio,
che secondo lo statuto del movimento può farne ciò che vuole.
Prendiamo
l’Europa. L’omeopatia dell’odio che passa attraverso Facebook eviterà
sempre di raccontare come l’Unione Europea sia anche una forza
collettiva che ha migliorato le condizioni di lavoro, imposto regole
severe contro lo strapotere delle multinazionali, cercato di limitare la
devastazione dell’ambiente, investito largamente nella costruzione di
una cultura comune, speso miliardi per la ricerca scientifica
collaborativa e collettiva laddove nessun soldo privato si
arrischierebbe, laddove però si trovano i risultati più inattesi e
dirompenti per curare.
E, soprattutto, nasconderà che questi
progressi ottenuti non sono stati una gentile concessione delle élite,
ma sono frutto della pressione continua di cittadini, movimenti, gruppi
ecologisti, avvocati dei diritti umani. Solo alla fine di un processo,
fatto di lotte, sconfitte e vittorie, queste proposte diventano leggi e
regolamenti. Intendiamoci: la Ue ha fatto molti errori – fra cui
l’ossessione di ridurre il deficit – non è riuscita a farsi sentire
vicina alla vita quotidiana.
Chi ha creato gli strumenti di
manipolazione collettiva non l’ha fatto per il piacere di veder ballare i
burattini. L’ha fatto perché è pagato da persone che hanno interessi
economici precisi. Da persone che vedono nell’Unione Europea uno dei
pochi ostacoli all’espansione planetaria del capitalismo senza regole.
Infangare la Ue rende soldi perché un’istituzione pubblica indebolita e
insicura di sé sarà più prona ai desiderata della grande industria, come
pare già stia succedendo nell’agricoltura.
E di che cosa parliamo
quando parliamo di "usare i dati"? I dati possono essere usati per
controllare e manipolare, ma possono essere anche adoperati per
diffondere il bene comune. Prendiamo l’esempio di Barcellona, dove la
sindaca Ada Colau con il progetto Decode sta provando a usare i dati
sugli spostamenti dei cittadini generati da app come Citymapper per
informare e disegnare un sistema di trasporto pubblico migliore per
tutti. O i movimenti che, in molti paesi, vogliono che i dati sulla
salute personale vengano usati non per arricchire le case farmaceutiche,
ma per migliorare il servizio sanitario. Tutte queste nuove soluzioni
arrivano alla Commissione europea e vengono poi discusse dalla
DG-Connect, che elabora le politiche in materie di digitale e
innovazione. Ma non sono le élite che le hanno proposte. Sono i
movimenti, grazie a questa nuova ed evoluta forma di interazione tra
élite e cittadini.
La soluzione di Baricco è "lasciare il telefono
a casa, camminare, e affidarsi alle intelligenze del Game". No. Bisogna
guardare queste nuove forme di relazione, capirle e moltiplicarle.
Smettere di usare parole come "gente" e pensarci invece tutti come
"cittadini". Smettere di descrivere l’Unione Europea come un pachiderma
sonnacchioso, irrazionale e imperscrutabile, e provare veramente a
capire come funziona, denunciare le sue sclerosi e proporre soluzioni
diverse.
E lottare, con o senza telefonino, per questo.