Repubblica 10.1.19
Non è crisi ma il governo è già finito
di Stefano Folli
Non è ancora crisi di governo e anzi in qualche modo il collasso dell’esecutivo giallo-verde sarà evitato.
Tuttavia
mai come stavolta ci si è avvicinati al punto di non-ritorno. E proprio
sul terreno più insidioso: non la banca Carige o la legge di bilancio,
ma gli immigrati via mare. Come in un destino circolare, il governo nato
alzando la bandiera dei porti chiusi rischia di morire sulla stessa
questione: l’impossibilità alla lunga di bloccare il flusso dei migranti
quando pressioni potenti sono all’opera per isolare Salvini e la sua
linea intransigente.
Nella sostanza, comunque vada a finire il
caso Sea Watch, la lacerazione che si è prodotta sul piano politico è
irreversibile. E si capisce perché. Era previsto che Giuseppe Conte,
personaggio privo di forza propria, fosse l’elemento di equilibrio nel
duopolio Lega-5S proprio in virtù della sua debolezza. Pur indicato dai
Cinque Stelle, cioè dal partito di maggioranza relativa, il patto
implicito era che l’uomo si mantenesse equidistante dai due capi
politici a costo di farsi invisibile.
L’argomento, in verità
abbastanza puerile, era che in tal modo “l’avvocato del popolo” avrebbe
garantito il famoso “contratto”. Come dire che aveva solo questo da fare
il presidente del Consiglio: applicare il programma scritto.
È chiaro che la finzione non poteva durare e infatti quella fase si è chiusa.
Conte
ha cessato le acrobazie e ha scelto — o qualcuno ha scelto per lui —
una parte più concreta nello psicodramma: aiutare e puntellare i Cinque
Stelle nella loro fase di maggior affanno. Di conseguenza abbiamo un
premier che utilizza l’unica arma a sua disposizione, il ruolo
istituzionale, per farsene scudo e mettere nell’angolo per la prima
volta l’onnipresente e debordante Salvini. Così facendo egli
alleggerisce un po’ la pressione sui 5S, ma decreta l’esaurirsi
dell’esperimento giallo-verde. In altre parole, Conte e dietro di lui Di
Maio sono riusciti a infliggere al ministro dell’Interno leghista uno
smacco d’immagine sul terreno a lui più caro, il “no” ai migranti. Si
tratta di numeri microscopici, se è vero che in Italia verranno ospitate
appena una decina di persone sbarcate dalla nave, forse meno.
Per
cui il vertice d’emergenza convocato a Palazzo Chigi nella notte sembra
quasi una sfida al ridicolo. Ma quel che conta è la rottura del tabù,
la ferita inferta al potere incontrastato del leader leghista e alla sua
filosofia politica.
Detto questo, è ovvio che si tratta di una
vittoria di Pirro. Il governo può anche restare in piedi fino alle
elezioni europee, ma solo per mancanza di alternative. Sul piano
politico l’esecutivo è finito ieri. Del resto Salvini ha parecchie
frecce al suo arco per rendere la pariglia ai Cinque Stelle, a
cominciare dal reddito di cittadinanza che deve passare al vaglio del
Parlamento e che già tanti malumori suscita nel mondo leghista. Altri
nodi verranno presto al pettine. Il che significa che da qui alle
europee il cammino della maggioranza sarà a dir poco accidentato.
Peraltro il premier Conte guadagna uno spazio di libertà in questo
scorcio della sua permanenza a Palazzo Chigi. Si consolida anzi quel
livello istituzionale del governo che corre in parallelo con la
dimensione politica del medesimo e tende a sovrastarla. Conte, Moavero,
Tria: detentori delle posizioni chiave pur essendo dei tecnici. A
conferma del fatto che in certe circostanze gli altri, i politici,
possono segnare il passo anche quando rappresentano oltre il 50 per
cento dell’elettorato. Accade quando si fanno troppi errori e si cade in
qualche trappola.