La Stampa20.1.17
“Gli altri sono annegati davanti ai nostri occhi”
di Fabio Albanese
Erano
centoventi. Non i 50 che aveva stimato la Guardia costiera libica,
senza però mandare in zona nemmeno una motovedetta e dirottando un
mercantile. Non i 20 che l’equipaggio dell’aereo dell’Aeronautica
partito da Sigonella ha visto, lanciando loro due battelli di
salvataggio.
Non i tre che l’elicottero di nave Caio Duilio della
Marina ha recuperato, in ipotermia ma vivi, trasportandoli poi a
Lampedusa. Erano 120, venivano da Gambia, Costa d’Avorio, Nigeria,
Camerun, una quarantina solo dal Sudan. In 117 sono ufficialmente
dispersi, di fatto annegati nelle acque gelide: tutti coloro che erano
su quel gommone, tranne i tre naufraghi che ieri, ancora sotto choc,
hanno raccontato agli operatori dell’Oim in servizio nell’hotspot di
Lampedusa cos’è accaduto venerdì mattina, 50 miglia a Nord-Est di
Tripoli.
Sono un gambiano di 22 anni e due sudanesi di una ventina
d’anni ciascuno. Sentiti separatamente, hanno fatto il medesimo
racconto: «Siamo partiti giovedì notte da Garabulli, eravamo in 120 su
un gommone che, dopo dieci-undici ore di navigazione, ha cominciato a
imbarcare acqua e ad affondare. Molti sono finiti in mare, annegavano
uno dietro l’altro e nessuno poteva far nulla per aiutarli. Con noi
c’erano dieci donne, una delle quali era incinta, e due bambini, uno
neonato di appena due mesi. Quando ci hanno lanciato dal cielo quei due
battelli eravamo rimasti ormai in pochi. Non sappiamo nemmeno noi come
abbiamo fatto a salvarci».
«Il loro racconto è lucido»
A
riferire il racconto dei tre sopravvissuti è Flavio Di Giacomo, il
portavoce italiano dell’Oim, l’Organizzazione delle migrazioni delle
Nazioni Unite, che lo ha raccolto dai suoi colleghi che operano
nell’hotspot di Lampedusa: «I tre migranti dicono di essere rimasti in
acqua tre ore, prima di essere salvati - dice Di Giacomo - ma è
difficile dire se abbiano avuto una percezione esatta del tempo
trascorso in quelle condizioni. Per il resto però, nonostante siano
scioccati, il loro racconto è lucido e il fatto che abbiano tutti e tre
riferito le stesse cose, nonostante siano stati sentiti separatamente
come vuole la prassi, ci conferma che si tratta di racconti
drammaticamente genuini».
I tre hanno anche raccontato di violenze
e abusi subiti in Libia, aggiungendo: «Meglio morire, che tornare lì».
Ieri pomeriggio il gambiano è riuscito a parlare con i familiari in
Africa: «Sono vivo ma gli altri sono morti tutti», ha detto in una
telefonata che i testimoni dicono sia stata molto commovente.
Secondo
una ricostruzione, l’allarme per il gommone è partito giovedì intorno
alle 11,30 quando la Guardia costiera libica ha disposto l’invio in
zona, tra 40 e 50 miglia a Nord-Est di Tripoli, di una propria
motovedetta che però poco dopo avrebbe avuto un’avaria dovendo far
rientro alla base. I libici hanno detto che a bordo del gommone c’erano
50 persone. È stato quindi deciso di inviare un mercantile libanese, il
Cordula Jacobs, che però ha impiegato diverse ore per arrivare sul posto
e non ha trovato nulla.
L’intervento dell’Aeronautica
Nel
primo pomeriggio, con l’allarme noto anche alla sala operativa della
Guardia costiera italiana, un aereo da ricognizione del 41° Stormo
dell’Aeronautica, partito dalla base di Sigonella, ha avvistato il
gommone ormai semi affondato; l’equipaggio ha riferito di aver visto a
bordo 20 persone e poche altre in mare e ha lanciato in acqua due
battelli di salvataggio prima di rientrare alla base perché a corto di
carburante.
Da nave Caio Duilio della Marina militare, impegnata
nell’operazione Mare Sicuro e distante 110 miglia dal luogo del
naufragio, si è alzato in volo l’elicottero che ha avvistato tre
cadaveri e ha poi trovato i tre naufraghi: due su uno dei battelli
lanciati dall’aereo, l’altro in mare. Li ha recuperati tutti, prima
portati sulla nave che nel frattempo si era diretta verso la zona, e
quindi a Lampedusa.
Nelle stesse ore, il Moonbird, l’aereo da
ricognizione delle Ong, ha intercettato le comunicazioni radio
dell’emergenza Sar e ha informato la Sea Watch 3, l’unica nave
umanitaria rimasta in tutto il Mediterraneo, che ha chiesto a Roma di
poter intervenire, ottenendo però in risposta di prendere contatti con
Tripoli. Inutilmente, perché nessuno avrebbe loro risposto. La Sea Watch
3, che era distante diverse ore di navigazione, ha dunque fatto rotta
verso il luogo del naufragio dove è arrivata in piena notte, non
trovando nulla se non i due battelli di salvataggio ormai abbandonati.
Degli altri 117 naufraghi, nessuna traccia.