domenica 20 gennaio 2019

La Stampa20.1.17
“Gli altri sono annegati davanti ai nostri occhi”
di Fabio Albanese


Erano centoventi. Non i 50 che aveva stimato la Guardia costiera libica, senza però mandare in zona nemmeno una motovedetta e dirottando un mercantile. Non i 20 che l’equipaggio dell’aereo dell’Aeronautica partito da Sigonella ha visto, lanciando loro due battelli di salvataggio.
Non i tre che l’elicottero di nave Caio Duilio della Marina ha recuperato, in ipotermia ma vivi, trasportandoli poi a Lampedusa. Erano 120, venivano da Gambia, Costa d’Avorio, Nigeria, Camerun, una quarantina solo dal Sudan. In 117 sono ufficialmente dispersi, di fatto annegati nelle acque gelide: tutti coloro che erano su quel gommone, tranne i tre naufraghi che ieri, ancora sotto choc, hanno raccontato agli operatori dell’Oim in servizio nell’hotspot di Lampedusa cos’è accaduto venerdì mattina, 50 miglia a Nord-Est di Tripoli.
Sono un gambiano di 22 anni e due sudanesi di una ventina d’anni ciascuno. Sentiti separatamente, hanno fatto il medesimo racconto: «Siamo partiti giovedì notte da Garabulli, eravamo in 120 su un gommone che, dopo dieci-undici ore di navigazione, ha cominciato a imbarcare acqua e ad affondare. Molti sono finiti in mare, annegavano uno dietro l’altro e nessuno poteva far nulla per aiutarli. Con noi c’erano dieci donne, una delle quali era incinta, e due bambini, uno neonato di appena due mesi. Quando ci hanno lanciato dal cielo quei due battelli eravamo rimasti ormai in pochi. Non sappiamo nemmeno noi come abbiamo fatto a salvarci».
«Il loro racconto è lucido»
A riferire il racconto dei tre sopravvissuti è Flavio Di Giacomo, il portavoce italiano dell’Oim, l’Organizzazione delle migrazioni delle Nazioni Unite, che lo ha raccolto dai suoi colleghi che operano nell’hotspot di Lampedusa: «I tre migranti dicono di essere rimasti in acqua tre ore, prima di essere salvati - dice Di Giacomo - ma è difficile dire se abbiano avuto una percezione esatta del tempo trascorso in quelle condizioni. Per il resto però, nonostante siano scioccati, il loro racconto è lucido e il fatto che abbiano tutti e tre riferito le stesse cose, nonostante siano stati sentiti separatamente come vuole la prassi, ci conferma che si tratta di racconti drammaticamente genuini».
I tre hanno anche raccontato di violenze e abusi subiti in Libia, aggiungendo: «Meglio morire, che tornare lì». Ieri pomeriggio il gambiano è riuscito a parlare con i familiari in Africa: «Sono vivo ma gli altri sono morti tutti», ha detto in una telefonata che i testimoni dicono sia stata molto commovente.
Secondo una ricostruzione, l’allarme per il gommone è partito giovedì intorno alle 11,30 quando la Guardia costiera libica ha disposto l’invio in zona, tra 40 e 50 miglia a Nord-Est di Tripoli, di una propria motovedetta che però poco dopo avrebbe avuto un’avaria dovendo far rientro alla base. I libici hanno detto che a bordo del gommone c’erano 50 persone. È stato quindi deciso di inviare un mercantile libanese, il Cordula Jacobs, che però ha impiegato diverse ore per arrivare sul posto e non ha trovato nulla.
L’intervento dell’Aeronautica
Nel primo pomeriggio, con l’allarme noto anche alla sala operativa della Guardia costiera italiana, un aereo da ricognizione del 41° Stormo dell’Aeronautica, partito dalla base di Sigonella, ha avvistato il gommone ormai semi affondato; l’equipaggio ha riferito di aver visto a bordo 20 persone e poche altre in mare e ha lanciato in acqua due battelli di salvataggio prima di rientrare alla base perché a corto di carburante.
Da nave Caio Duilio della Marina militare, impegnata nell’operazione Mare Sicuro e distante 110 miglia dal luogo del naufragio, si è alzato in volo l’elicottero che ha avvistato tre cadaveri e ha poi trovato i tre naufraghi: due su uno dei battelli lanciati dall’aereo, l’altro in mare. Li ha recuperati tutti, prima portati sulla nave che nel frattempo si era diretta verso la zona, e quindi a Lampedusa.
Nelle stesse ore, il Moonbird, l’aereo da ricognizione delle Ong, ha intercettato le comunicazioni radio dell’emergenza Sar e ha informato la Sea Watch 3, l’unica nave umanitaria rimasta in tutto il Mediterraneo, che ha chiesto a Roma di poter intervenire, ottenendo però in risposta di prendere contatti con Tripoli. Inutilmente, perché nessuno avrebbe loro risposto. La Sea Watch 3, che era distante diverse ore di navigazione, ha dunque fatto rotta verso il luogo del naufragio dove è arrivata in piena notte, non trovando nulla se non i due battelli di salvataggio ormai abbandonati. Degli altri 117 naufraghi, nessuna traccia.