Il Fatto 20.1.19
“Meglio morti che in Libia”. La strage continua in mare
Naufraga un gommone a 45 km da Tripoli, 117 affogati. Le parole dei tre superstiti rimasti in acqua per ore prima dei soccorsi
di Andrea Ossino
I
sommersi e i salvati. Le onde calme sono un cimitero buio. A fare da
lapide due piccole zattere gialle, deserte, mentre un gelido silenzio ha
già preso il posto delle urla di chi – ben 117 persone – è morto
annegato. “C’è qualcuno?” domanda Giuseppe Borello, inviato di Carta
Bianca, mentre con i volontari della Sea Watch 3 si avvicina alle
zattere. Non gli risponde nessuno. Poche ore prima è stato un elicottero
della Marina Militare a salvare il salvabile. L’immensa miseria di 3
vite su 120. Le due scialuppe di salvataggio vengono lanciate da un
aereo della Marina Militare che operano per l’operazione Mare Sicuro”.
Il
velivolo nota il gommone. Lancia in mare le Coastal e allerta la base.
Un elicottero giunge sul posto il prima possibile. Ma comunque troppo
tardi. Non sono riuscite ad afferrarle nove donne. Una era incinta. Non
hanno accolto un neonato di appena due mesi. E con loro tutti gli altri
migranti. Si salvano solo in tre. Il gommone ha iniziato a imbarcare
acqua dopo dieci ore dalla partenza. I tre superstiti – un ventiduenne
del Gambia e due ragazzi del Sudan – hanno raccontato l’inferno:
compagni di viaggio che si gettavano in mare, che non riuscivano a
tenersi all’imbarcazione, annegavano tra le onde. “Hanno raccontato le
sevizie e gli abusi subìti e hanno detto: “Meglio morti che in Libia”,
spiega Flavio Di Giacomo, portavoce dell’Organizzazione internazionale
dei migranti. “Venivano da Nigeria, Gambia, Costa D’Avorio – continua –
c’erano anche una quarantina di sudanesi”. Scappavano dalle sevizie
libiche e dai loro paesi di origine. Il sogno di un futuro migliore è
naufragato tra le acque internazionali, in quella che dovrebbe essere la
Sar libica, dove, quando i soccorsi funzionano, i migranti perferiscono
lanciarsi tra le onde, pur di non tornare nei lager nordafricani. È lì
che fino a qualche tempo fa navigavano le navi della Ong. “C’è
nessuno?”, chiede più volte, Borrelli, prima di arrendersi al silenzio e
rimettersi in viaggio con i volontari della Sea Watch. Dai sommersi ai
salvati, in questo Mediterraneo improvvisamente tornato a un traffico
intenso, il passo è breve. La Sea Watch incrocia un’imbarcazione alla
deriva e soccorre 47 persone. Ed è un sollievo sentire le loro voci
piene di gioia per la salvezza ottenuta: è gente partita alle 3 della
notte da Zuhara, al buio, per sfuggire alla guardia costiera libica. Ha
navigato finché ha potuto, finché il motore ha retto e qualcuno non li
ha soccorsi. Se non ci fosse stata la Sea Watch conteremmo altri 47
morti. Le loro storie sono quelle di sempre.
Le stesse tragedie di
ogni migrante che transita in Libia: violenze, estorsioni, ricatti ai
familiari. Prigionie che variano tra i 6 e i 9 mesi. Così si passa dalla
morte alla vita e dalla vita alla morte navigando nel Mediterraneo.
I
volontari della Sea Watch ci avevano provato, a salvare i 117 sommersi,
di poche ore prima. “Oggi, Moonbird ha sentito la comunicazione di un
caso di pericolo (…) Una nave mercantile è vicina ma non aiuta”, recita
un tweet di venerdì scorso della Ong che accusa: “Si sono rifiutati di
fornirci informazioni sul caso, informandoci solo che MRCC Tripoli
sarebbe stata responsabile. Abbiamo chiamato anche lì – nessuno parlava
EN / FR / IT, nemmeno l’arabo”. Immediata la risposta della Guardia
Costiera, che spiega di aver comunicato alla Ong “che la loro
disponibilità sarebbe stata offerta alla Guardia Costiera libica, quale
Autorità coordinatrice dell’evento”. “Se non avessimo ascoltato questo
messaggio via radio, probabilmente non avremmo sentito parlare di questa
strage”, aggiunge Kim Heaton-Heather, capo Missione di Sea-Watch. 117
sommersi e 43 salvati. E un altro fatto certo: “Abbiamo avuto 68
soccorsi due giorni fa, poi questo naufragio con 120 partiti giovedì
sera, poi 47 soccorsi da Sea Watch – continua Flavio Di Giacomo dell’Oim
– O è più facile partire dalla Libi,a per qualche motivo, o la guardia
costiera libica è completamente assente. È evidente che in questo
momento in Libia ci sono problemi. Un numero così alto di sbarchi, i
coso poco tempo, non li vedevamo da tanto”. Inoltre, secondo l’Unhcr,
che cita notizie diffuse da Ong, ci sarebbe stata un’altra tragedia di
migranti, nel Mare di Alboràn. I morti, in questo caso, sarebbero 53.
Solo un uomo si è salvato, dopo aver trascorso un giorno intero in balia
delle onde.