Il Fatto 20.1.19
“Li hanno lasciati morire. Noi ci abbiamo messo 7 ore e domani ci attende un D-day”
A bordo - La testimonianza dell’inviato di “Carta Bianca” imbarcato sulla Sea D-day”
di Giuseppe Borello
Mi
sono imbarcato sulla SeaWatch3 il 3 gennaio scorso, nel bel mezzo di un
braccio di ferro tra le diplomazie europee per l’accoglienza dei 32
migranti allora a bordo. “Non siamo dei pesci, perché ci lasciano in
mare?”, chiedevano. Anche se sono un giornalista che è qui per
documentare, a bordo siamo pochi e tutti devono fare tutto, così mi sono
ritrovato nella squadra dei salvataggi.
Ero sul primo gommone
veloce della Sea Watch che ieri ha soccorso i migranti in mezzo al mare.
Erano alla deriva, su un gommone col motore che non andava più: la
punta dell’imbarcazione era inclinata. Era evidente che nel giro di
poche ore si sarebbe sgonfiata. La barca era stracolma. Quando ci siamo
avvicinati gli abbiamo gridato “Siamo europei!”. Era per fargli capire
che non eravamo libici. Loro non vogliono essere salvati dai libici.
Piuttosto si lanciano in mare rischiando di annegare. Poi è cominciato
il salvataggio: 47 persone per lo più dal Sudan, Guinea, Senegal, Gambia
Nigeria. Tanti minori.
Tutta un’altra scena rispetto alla notte
prima, quando siamo arrivati sul luogo del naufragio in cui hanno perso
la vita in 117. Avevamo ricevuto una comunicazione che ci segnalava un
avvistamento aereo della nostra Marina di gommoni semiaffondati con
persone in mare: erano state lanciate zattere di primo soccorso,
invitando ad accorrere le navi in zona. Abbiamo cercato di capire chi li
soccorresse. Ma né da Roma né dalla Libia c’era risposta. Dopo 7-8 ore
di navigazione con la SeaWatch3 in piena notte abbiamo cercato
disperatamente persone da salvare. Ma non restava che un cimitero.
Ho
parlato con dei ragazzi senegalesi, soprattutto. La prima cosa che ti
dicono è grazie per averci salvato. Sono partiti da Zuwara tra le 3 e le
4 di mattina, per non essere intercettati hanno navigato finché il
motore gli ha retto. Raccontano che i libici gli dicevano di stare
tranquilli perché il Mediterraneo si può attraversare in tre ore, perché
è un mare piccolissimo: gli dicono che i gommoni sono sicurissimi.
Costo del viaggio: fino a 5.000 dinari, mille euro circa. In Libia, a
Sabrah, molti di loro sono stati rapiti, costretti a chiedere soldi alle
famiglie. Li facevano inginocchiare e telefonare a casa, tutto col viva
voce così che le famiglie potessero sentire i colpi di kalashnikov che
sparavano. Nei campi libici sono stati in media sei mesi. Raccontano che
i trafficanti sono pronti per lanciare altri gommoni: i migranti che ho
intervistato dicono che è pieno di persone che aspettano il mare calmo
per poter intraprendere il viaggio. E sulla Sea Watch siamo in allerta.
Viste le condizioni meteo, si prevede un “D-Day”, uno sbarco con mezzi
di fortuna tra domani e dopodomani.
Quando partivano dalla costa
libica, si vedevano in lontananza delle luci. Erano quelle di una
piattaforma petroliferi, ma i trafficanti si prendevano gioco di loro
dicendo: “Quella è l’Europa”.
* inviato di “Carta Bianca”
di Giuseppe Borello* | 20 Gennaio 2019