martedì 8 gennaio 2019

La Stampa 8.1.18
La scelta di Salvini “Non chiudo gli stadi per i cori razzisti”
Un ritorno al passato per uscire dall’emergenza: treni speciali e partite a rischio non in notturna
di Francesco Grignetti


È una ricetta antica, quella del ministro Matteo Salvini sul calcio e il tifo. Un ritorno al passato. Alla vigilia della ripresa del campionato di calcio, metabolizzata la giornata di straordinaria violenza di Milano, durante la quale è morto l’ultras varesino Daniele Belardinelli, il ministro riapre la strada ai famosi treni per tifosi. «Vietare le trasferte, non va bene. Come chiudere gli stadi. È la resa dello Stato. Ma meglio evitare le trasferte fai-da-te. Sono più controllabili 1000 tifosi che viaggiano tutti assieme, e se qualcuno danneggia le carrozze ferroviarie ne risponderà, piuttosto che avere 100 minivan che entrano in città da tutte le parti».
Le trasferte organizzate esistevano un tempo. Poi furono abolite perchè sembravano fuori controllo. Nel frattempo sono state inventate le tessere del tifoso, i tornelli agli ingressi, il biglietto nominativo. E come raccontano troppi episodi di cronaca nera, le violenze degli ultras si sono spostate lontano dagli impianti sportivi, persino favorite dall’afflusso disordinato di tifosi in trasferta. Questa caratteristica del tifo violento, comune alla Gran Bretagna, alla Germania, o ai paesi nordici, non è sfuggita all’Osservatorio sul calcio presso il nostro ministero dell’Interno. Lo conferma il ministro Salvini, che si fa vanto di essere un buon frequentatore degli stadi e delle curve. «Ci si picchia ormai negli autogrill, sulle tangenziali, ai caselli di autostrada». E contro questa violenza diffusa, pulviscolare, un pur imponente sistema di sicurezza può fare poco. Molto meglio tornare ai treni, allora. «Con tifosi che ci danno garanzie, il numero del biglietto, il codice fiscale, il casellario giudiziario...».
Quanto al resto, vietato vietare. Con buona pace di chi avrebbe voluto una stretta ulteriore sui cori razzisti, sugli striscioni, e pure sui tamburi, il ministro ha rovesciato l’ottica: no alla chiusura delle curve, no alle trasferte off-limits, no alla sospensione di partite. «Chi decide? Non l’arbitro, che ha già i suoi problemi. Non il funzionario di polizia, che deve preoccuparsi dell’ordine pubblico. Finisce che lasciamo la decisione nelle mani di pochi tecnici».
A dare la linea, dunque, è innanzitutto il Salvini con la sciarpa, che a fiuto sente di doversi schierare con il «popolo» delle curve piuttosto che con l’establishment sportivo, che siano i vertici del Coni o i presidenti delle società. A questi ultimi, promettendo assieme a Giancarlo Giorgetti che quanto prima avranno una legge speciale che favorirà la costruzione di nuovi stadi, intima però di fare la loro parte. «Vengono mobilitati 75mila agenti. Sarebbe gradito che le società collaborino alla spesa (circa 40 milioni di euro, ndr) che finora grava sulle tasche dei contribuenti».
Ma sono ipotesi per il futuro. Da subito, il ministro chiede alle società di rivedere gli orari delle partite. A cominciare da una partita in particolare. «Non mi sfugge che la ripresa del campionato prevede Genoa-Milan, e siccome i rapporti tra le due tifoserie non sono dei migliori, vorrei tanto che quella partita si facesse con la luce del giorno».
Come i treni per tifosi, anche disputare di giorno e non di notte le partite «difficili» sarebbe una misura di prevenzione che aiuterebbero la polizia a svolgere il proprio lavoro. E però qui c’entrano i soldi: i diritti televisivi, la girandola di partite che è diretta dalle emittenti, i contratti. I presidenti delle società hanno subito fatto muro. Ma Salvini insiste: «Il diritto alla gioia viene prima del diritto al business, prima del contratto con Sky o con Dazn». È il populismo politico applicato alle curve, ai tifosi-elettori che vanno blanditi, non tenuti a distanza o peggio bastonati. E perciò: «Mi rifiuto di confondere milioni di persone perbene con pochi criminali, quelli che vanno allo stadio con le roncole. Sono contrario ai divieti. Il tifo deve essere colorato e colorito».