La Stampa 8.1.18
La scelta di Salvini “Non chiudo gli stadi per i cori razzisti”
Un ritorno al passato per uscire dall’emergenza: treni speciali e partite a rischio non in notturna
di Francesco Grignetti
È
una ricetta antica, quella del ministro Matteo Salvini sul calcio e il
tifo. Un ritorno al passato. Alla vigilia della ripresa del campionato
di calcio, metabolizzata la giornata di straordinaria violenza di
Milano, durante la quale è morto l’ultras varesino Daniele Belardinelli,
il ministro riapre la strada ai famosi treni per tifosi. «Vietare le
trasferte, non va bene. Come chiudere gli stadi. È la resa dello Stato.
Ma meglio evitare le trasferte fai-da-te. Sono più controllabili 1000
tifosi che viaggiano tutti assieme, e se qualcuno danneggia le carrozze
ferroviarie ne risponderà, piuttosto che avere 100 minivan che entrano
in città da tutte le parti».
Le trasferte organizzate esistevano
un tempo. Poi furono abolite perchè sembravano fuori controllo. Nel
frattempo sono state inventate le tessere del tifoso, i tornelli agli
ingressi, il biglietto nominativo. E come raccontano troppi episodi di
cronaca nera, le violenze degli ultras si sono spostate lontano dagli
impianti sportivi, persino favorite dall’afflusso disordinato di tifosi
in trasferta. Questa caratteristica del tifo violento, comune alla Gran
Bretagna, alla Germania, o ai paesi nordici, non è sfuggita
all’Osservatorio sul calcio presso il nostro ministero dell’Interno. Lo
conferma il ministro Salvini, che si fa vanto di essere un buon
frequentatore degli stadi e delle curve. «Ci si picchia ormai negli
autogrill, sulle tangenziali, ai caselli di autostrada». E contro questa
violenza diffusa, pulviscolare, un pur imponente sistema di sicurezza
può fare poco. Molto meglio tornare ai treni, allora. «Con tifosi che ci
danno garanzie, il numero del biglietto, il codice fiscale, il
casellario giudiziario...».
Quanto al resto, vietato vietare. Con
buona pace di chi avrebbe voluto una stretta ulteriore sui cori
razzisti, sugli striscioni, e pure sui tamburi, il ministro ha
rovesciato l’ottica: no alla chiusura delle curve, no alle trasferte
off-limits, no alla sospensione di partite. «Chi decide? Non l’arbitro,
che ha già i suoi problemi. Non il funzionario di polizia, che deve
preoccuparsi dell’ordine pubblico. Finisce che lasciamo la decisione
nelle mani di pochi tecnici».
A dare la linea, dunque, è
innanzitutto il Salvini con la sciarpa, che a fiuto sente di doversi
schierare con il «popolo» delle curve piuttosto che con l’establishment
sportivo, che siano i vertici del Coni o i presidenti delle società. A
questi ultimi, promettendo assieme a Giancarlo Giorgetti che quanto
prima avranno una legge speciale che favorirà la costruzione di nuovi
stadi, intima però di fare la loro parte. «Vengono mobilitati 75mila
agenti. Sarebbe gradito che le società collaborino alla spesa (circa 40
milioni di euro, ndr) che finora grava sulle tasche dei contribuenti».
Ma
sono ipotesi per il futuro. Da subito, il ministro chiede alle società
di rivedere gli orari delle partite. A cominciare da una partita in
particolare. «Non mi sfugge che la ripresa del campionato prevede
Genoa-Milan, e siccome i rapporti tra le due tifoserie non sono dei
migliori, vorrei tanto che quella partita si facesse con la luce del
giorno».
Come i treni per tifosi, anche disputare di giorno e non
di notte le partite «difficili» sarebbe una misura di prevenzione che
aiuterebbero la polizia a svolgere il proprio lavoro. E però qui
c’entrano i soldi: i diritti televisivi, la girandola di partite che è
diretta dalle emittenti, i contratti. I presidenti delle società hanno
subito fatto muro. Ma Salvini insiste: «Il diritto alla gioia viene
prima del diritto al business, prima del contratto con Sky o con Dazn». È
il populismo politico applicato alle curve, ai tifosi-elettori che
vanno blanditi, non tenuti a distanza o peggio bastonati. E perciò: «Mi
rifiuto di confondere milioni di persone perbene con pochi criminali,
quelli che vanno allo stadio con le roncole. Sono contrario ai divieti.
Il tifo deve essere colorato e colorito».