La Stampa 7.1.19
Margarete dal gulag al lager
L’odissea della Buber-Neumann che svelò al mondo gli orrori di Stalin
di Mirella Serri
«Prima
di sistemarla su un vagone ferroviario diretto in Germania, le dettero
nuovi indumenti, un buon pasto e arrivò pure un parrucchiere per farla
bella». Così la scrittrice e giornalista russa Nina Berberova riassume
uno dei momenti più drammatici nella vita di un personaggio d’eccezione,
Margarete Buber-Neumann. Si tratta delle terribili ore del gennaio 1940
in cui la quarantenne Margarete, dopo essere stata ben pettinata e
nutrita, viene consegnata ai nazisti dai sovietici che l’avevano tenuta
prigioniera nel gulag di Karaganda. Nel clima di amicizia creato dal
patto Molotov- Ribbentrop del 23 agosto 1939, Stalin consegnò a Hitler
un migliaio di ebrei e di comunisti dissidenti, tra cui la
Buber-Neumann. I tedeschi la destinarono al campo di concentramento di
Ravensbrück. Il racconto di questo passaggio, dal gulag di Stalin al
lager di Hitler, la Berberova lo raccoglie dalla viva voce della
protagonista nel 1949 in uno dei suoi reportage per la Russkaja Mysl’,
rivista destinata agli emigrati del suo Paese.
Il giornale aveva
incaricato la scrittrice di seguire quello che sarà definito il processo
del secolo. Il dibattimento in cui la donna tedesca rivelò tutti i suoi
atroci patimenti si svolse a Parigi e il principale protagonista fu
l’ingegnere Viktor Andrijovyč Kravčenko fuggito dalla Russia e approdato
in America. In quell’aula di tribunale venne resa nota la realtà del
sistema concentrazionario sovietico per la prima volta con enorme
risonanza mediatica. Le udienze, molto seguite dai giornali di tutto il
mondo, s’iniziarono il 24 gennaio di 70 anni fa e adesso la raccolta
degli articoli della Berberova esce con la prefazione di Marco Belpoliti
nel volume Il caso Kravčenko (il 10 gennaio da Guanda, pp. 304, €
18,50).
«Ho scelto la libertà»
Kravčenko, che era stato
mandato a New York dal governo russo per trattare l’import-export di
materie prime, nel 1944 decise di chiedere asilo politico negli Stati
Uniti e due anni dopo di rivelare nel libro Ho scelto la libertà quello
che accadeva in Urss: la povertà dilagante, il massacro dei contadini
ucraini, le torture, i processi farsa e i gulag. In Italia è Mario
Pannunzio, direttore di Risorgimento liberale, a pubblicare a puntate,
nel 1947, con grande scandalo, il libro di Kravčenko sul suo quotidiano.
Ma il caso mediatico esplode quando l’esule russo fa causa alla rivista
comunista Les lettres françaises. Da questa testata viene accusato di
raccontare falsità, di essere al soldo degli americani e di essere stato
arruolato dai fascisti.
La Berberova, che era approdata a Parigi
dopo aver abbandonato la Russia dei Soviet a metà degli Anni Venti, nei
suoi resoconti sul processo è asciutta, diretta e imparziale. Però
riceve minacce per i suoi articoli antistaliniani e teme di avventurarsi
da sola a tarda sera per le strade della capitale francese. Ad
assistere alla deposizione dell’ingegnere, della Buber-Neumann e di
altri detenuti scampati all’inferno della Kolyma sono presenti calibri
da novanta della cultura francese, Jean-Paul Sartre, Louis Aragon,
Simone de Beauvoir e altri. L’intellighenzia parigina è in gran parte
schierata contro Kravčenko. Così lo scrittore Vercors e l’intellettuale
Roger Garaudy, deputato e senatore del Partito comunista francese,
cercano di dimostrare, come scrive la Berberova, che i gulag sono
un’invenzione di Margarete e di Kravčenko. Un’analoga opinione la
condivide il famoso scienziato Jean-Frédéric Joliot-Curie, scopritore
del neutrone e Nobel per la chimica. Due anni dopo non a caso si
aggiudicherà il premio Stalin.
Nel numeroso pubblico, tra le
schiere di poliziotti e di giornalisti accorsi da tutto il globo, cala
però il silenzio, commenta la Berberova, quando arriva il momento in cui
Margarete, dall’aspetto dimesso e dalla voce flebile, prende la parola.
In prime nozze la comunista nata a Potsdam aveva sposato Rafael, figlio
di Martin Buber, noto filosofo ebreo. Poi unisce il suo destino a
quello di Heinz Neumann, consigliere personale di Stalin. Heinz osa
criticare il dittatore russo dopo la sua scelta di solidarizzare con
Hitler. Viene imprigionato e tenuto in ostaggio all’hotel Lux con
Margarete. La notte del 27 aprile 1937 è arrestato. Poi non si hanno più
sue notizie.
Con la Milena di Kafka
Margarete è la moglie,
anzi la vedova a questo punto, di un «deviazionista»: questa la sua
colpa. Ed è destinata al carcere femminile di Mosca. Nel ’38 viene
inviata nel gulag kazaco, luogo gelido in un bacino carbonifero dove,
dopo quattordici ore al giorno di estenuanti fatiche, le viene concessa
una minestra di acqua tiepida. «Le condizioni di vita e di lavoro erano
peggiori di quanto non le abbia trovate poi a Ravensbrück. Ma debbo
anche dire che nei lager di Stalin non ho trovato il sadismo e la
crudeltà individuale dei lager nazisti», ricorda Margarete.
Dopo
essere stata consegnata agli uomini di Hitler e trasferita nelle
baracche di Ravensbrück, la Buber-Neumann ha un incontro assai speciale
con Milena Jesenská, giornalista ceca e membro della resistenza che era
stata legata a Franz Kafka da un amore intenso e appassionato. Milena,
che con il suo affetto e la sua solidarietà aiuta Margarete a
sopravvivere, muore il 10 maggio ’44. La Berberova non manca di rilevare
il tono impietoso con cui l’avvocato difensore delle Lettres françaises
rimprovera Margarete di non mostrare nessuna riconoscenza per i
sovietici che nel 1945 hanno spalancato le porte del campo di
concentramento e le hanno restituito la libertà.
Il silenzio degli Alleati
Il
resoconto reso al processo parigino dalla Buber-Neumann sulla sua
tremenda prigionia sovietica (a cui dedica anche la propria
autobiografia) colpisce profondamente l’opinione pubblica internazionale
e rappresenta una tappa fondamentale per la conoscenza di quello che
stava accadendo all’Est. Durante il periodo bellico gli Alleati avevano
deciso infatti di seppellire sotto una coltre di silenzi le purghe
staliniane degli Anni Trenta a causa delle quali erano morte milioni di
persone. Alla fine del 1942 Stalin fu addirittura dichiarato uomo
dell’anno sulla copertina di Time.
Kravčenko, grazie al quale era
emersa la verità sul rispetto dei diritti umani nella patria del
socialismo, vincerà la causa. La verità si era affermata, però, anche
grazie all’impegno di due donne: la Buber-Neumann, ex fervente comunista
che seppe sfidare con la sua denuncia un mondo che le era
pregiudizialmente ostile, e la Berberova che con i suoi articoli e con
il suo libro dedicato al Caso Kravčenko continuò negli anni a mantenere
vivo il ricordo delle sofferenze di Margarete.