Corriere 7.1.19
Medioevo Il manoscritto della Biblioteca Braidense pubblicato integralmente dall’editore Artemide
L’Inferno prima di Dante
Fuoco, catene: in un «Sermone» duecentesco il viaggio in un atroce aldilà
di Chiara Frugoni
Un gruppo di studiosi ha recuperato il testo del XIII secolo Ogni pagina contiene fini miniature a colori e prediche
Per
catturare i lettori, i temi religiosi sono affrontati attraverso
continui paragoni con la vita quotidiana nella Milano di allora
Chi
era disceso nell’Aldilà prima di Dante? Enea certo, e poi l’apostolo
Paolo: lo dicono i manuali di letteratura. Sono i due viaggiatori più
famosi che si siano spinti oltre il confine del mondo dei vivi.
Ma altri viaggiatori, meno noti, e altrettanto coraggiosi e curiosi, hanno varcato le soglie dell’Oltretomba.
Oggi
un altro viaggio, una descrizione dell’Oltretomba meno nota, ma
raccontata a tinte forti e terribili, rivede finalmente la luce,
valorizzata dall’opera di recupero di un gruppo di studiosi del
Medioevo.
La descrizione dell’Aldilà è racchiusa nei versi finali
di un’opera, il Sermone di Pietro da Barsegapè, tramandata da un
manoscritto custodito dalla Biblioteca Nazionale Braidense di Milano.
Il
codice era già noto alla critica, che negli ultimi cento anni ha fatto
diverse proposte di interpretazione e di datazione. Oggi, finalmente,
quel manoscritto conosce uno studio a 360 gradi e ci svela molti dei
suoi segreti. Altri misteri restano da scoprire e da comprendere.
Il
manoscritto AD XIII 48 contiene un testo fatto da varie prediche in
dialetto milanese del tardo Duecento; ogni pagina è decorata da
miniature molto fini che le commentano e che raccontano per gli occhi
ciò che la lettura propone alla mente e all’immaginario dei lettori
medievali.
Per la prima volta questo manoscritto è pubblicato
nella sua interezza (Artemide Edizioni), con tutte le miniature a
colori, insieme a un lungo commento che illustra il significato di tutte
le miniature, e saggi sulla composizione del codice, sulla lingua e
sulla personalità dell’autore o degli autori del testo. Le prediche
raccontano, componendo un’antologia, la storia dell’uomo, e poi
dell’anima, dalla creazione del Mondo fino alla cacciata dei progenitori
e poi dalla nascita di Cristo fino al Giudizio Universale, ma anche, ed
è una sezione molto vivace e gustosa, di sette perverse amiche
dell’uomo, i Vizi capitali.
Chi predicava voleva colpire il suo
pubblico e perciò ci sono continui paragoni e richiami alla vita
quotidiana della Milano duecentesca.
Ecco il mondo della città che
prende forma e colore. La corona di Cristo ha spine più acute e
pungenti di una lesina da calzolaio; l’apostolo Pietro, per tagliare
l’orecchio a colui che in altri testi è chiamato Malco, sfodera un
coltello ben affilato con la mola, ben amolao; la carne di Cristo
flagellata diventa più nera del paiolo tenuto sul fuoco ricoperto da
nerofumo: plu negra ka caldera ela si pariva. Per rendere evidenti le
colpevoli esigenze del corpo, si ricorda che il ventre vuole essere
riempito di carne di bue e di buon cappone, pietanze evidentemente
ambite e desiderate.
Insomma tutto il mondo medievale, di una
città che stava diventando importante, Milano appunto, si ritrova nei
versi del Sermone.
E nella città, neanche a farlo apposta, c’è il
problema delle strade, che — era Milano allora, come oggi Roma — avevano
buche ed erano diventate pericolose. Così il predicatore-scrittore,
narrando l’entrata di Cristo a Gerusalemme, propone al suo pubblico lo
spettacolo delle strade dissestate; in onore di Cristo gli abitanti
cercano di livellare la strada là dove sono pietre e fango, in modo che
l’asina proceda senza scossoni: la strada van tuti adeguando/ la o era
le prede e lo fango,/ ke la asena non habia male/ e ke la vaga plu soave
(«la strada vanno tutti sistemando, là dove erano pietre e fango, che
l’asina non sia in difficoltà e che il cammino sia più facile»).
E
nella Milano del Duecento c’è anche lo spazio per gli acquisti. Quando
Cristo scaccia i mercanti dal Tempio non ci sono in vendita gli animali
pronti per il sacrificio, ma la miniatura propone un negozio medievale
con borse, cinture di cuoio e cappelli da viaggio.
Forse l’autore
era un notaio: lo dimostra la sua dimestichezza con condanne e torture.
Ad esempio Giuda si impicca con le mani legate dietro la schiena: non è
un suicidio evidentemente, ma un’esecuzione. Nelle descrizioni dei Vizi
capitali vengono raccontate situazioni famigliari di beghe per eredità,
di soprusi e violenze.
E c’è poi anche l’uomo superbo, pieno d’ira, desideroso di potere: il politico forse, anche in quell’epoca?
Ottenebrato
dall’ira quest’uomo usa la ragione che gli rimane per rendere grama la
vita di chi gli è sottoposto. Pensa de viver a rapina aver dinar ad
usura/ ...de fare le grande caxe con li richi solari/ fe grosse torre et
alte depengie e ben merlae/ de ver calçe de saia et esser ben uestio/
d’aver riche vignie ke façan lo bon vino/ bosco da legnie lo molin e po
lo forno/ ...lu uol asai ki ge stian detorno/ ora se sta superbo e molto
iniquitoso («vivere di rapina, avere denari a usura, fare grandi case
con ricchi solai, torri grandi, alte, dipinte e ben merlate, vestirsi
bene, aver vigne ricche e che facciano buon vino, bosco da legna, il
mulino, il forno, molta gente intorno a lui; ora se ne sta superbo e
pieno di iniquità»).
Potrebbe essere il ritratto di Napo Della
Torre, sempre in rapporti assai tesi con l’arcivescovo Ottone Visconti,
in esilio, di cui il nostro notaio sarebbe a servizio. Proprio l’esilio
spiegherebbe perché il notaio, seguendo gli spostamenti della curia, ha
potuto conoscere tante città dei cui monumenti riporta tracce precise
nelle miniature: copia dal duomo di Modena, da San Zeno di Verona, da
San Giorgio di Almenno San Salvatore, dal Battistero di Parma e ancora
da altre chiese.
E nel finale il predicatore fa vedere al suo
pubblico il terribile spettacolo dell’inferno: vu andarì in fogo
ardente/ crudel e pessimo e boliente/ in greve puça et in calor/ in
tormenti et in dolor/ infimo grande e tenebroso (...)/ e çamai no
trovarì bon logo/ e fame e sede aurì crudel/ ma non avrì lagie nì mel/
inançe auri diuerse pene/de crudelissime cadene/ ad un ad un firì ligai/
e molto firì marturiadi/ de scorpion e de serpenti/ e de dragon molti
mordente» («voi andrete nel fuoco ardente, crudele, terribile, bollente,
in una puzza greve e nel calore, nei tormenti e nel dolore infimo,
grande, tenebroso (...) e mai troverete requie, e fame, sete crudele
avrete, ma non avrete di che saziarvi; anzi avrete pene e crudeli
catene, sarete legati e tormentati da scorpioni, serpenti, e da
insaziabili dragoni»).