La Stampa 5.1.19
La furia del genocidio
Shoah, un quarto delle vittime venne sterminata dai nazisti nell’arco di appena 100 giorni
di Marcello Pezzetti
Generalmente
si ritiene che la Shoah sia stata una specie di onda che, come quella
provocata da uno tsunami, sia partita, con dimensioni ridotte, da un
preciso punto - in questo caso la Germania - e si sia via via
ingigantita violentemente, devastando territori sempre più consistenti -
l’intera Europa, oltre a buona parte dell’Unione Sovietica -,
provocando nel corso del tempo un numero sempre più alto di vittime.
Nell’Europa occidentale, ma soprattutto in Italia, dove la persecuzione
delle vite iniziò solo nell’autunno del 1943, si ritiene dunque che il
processo di distruzione degli ebrei abbia raggiunto il culmine nel 1944.
Come
prova di ciò si fa riferimento alla storia del campo di
Auschwitz-Birkenau, luogo di destinazione della quasi totalità degli
ebrei dell’Europa occidentale e del Sud, che raggiunse la sua più
imponente capacità di messa a morte proprio tra la primavera e l’estate
del 1944.
Ora, una pubblicazione del professore israeliano Lewi
Stone ha il merito di mettere seriamente in dubbio la correttezza
dell’approccio storico appena esposto. Mettendo a confronto, soprattutto
attraverso comparazioni statistiche, le dimensioni delle più gravi
tragedie della storia del XX secolo, egli arriva a sottolineare il fatto
che la Shoah ha avuto il suo picco non solo due anni prima di quanto
non si tenda a pensare, ovvero nel 1942, ma che addirittura nel corso di
soli 100 giorni ha mostrato una dimensione omicida di gran lunga
superiore a quella dello sterminio di massa considerato come il più
«concentrato» della storia, il genocidio dei tutsi avvenuto in Ruanda
tra l’aprile e il luglio del 1994.
In effetti da alcuni anni gli
storici specialisti della politica omicida nazista, soprattutto quelli
tedeschi, hanno concentrato le loro ricerche su due periodi focali per
la comprensione della storia del Novecento: quello che è avvenuto nel
Reich nell’autunno del 1941, ovvero la decisione dello sterminio, e
quello che è successo nell’Est dell’Europa nella seconda metà del 1942,
ovvero la concretizzazione più intensa di tale progetto.
L’eliminazione
della popolazione ebraica europea era iniziata nell’estate del 1941 con
le fucilazioni di massa compiute dalle Einsatzgruppen, truppe speciali
che incominciarono ad uccidere gli ebrei nei paesi baltici, in
Bielorussia e in Ucraina, ma fu nella primavera del 1942 che i nazisti
misero in atto due spaventosi progetti che non avevano precedenti della
storia: l’«Aktion Reinhardt» e il «piano Auschwitz». Il primo consisteva
nell’uccisione della popolazione ebraica che stava ormai morendo di
fame e di malattie all’interno dei ghetti nel Governatorato Generale (il
cuore dell’ex territorio della Polonia); il secondo nell’eliminazione
dell’ebraismo dell’Europa occidentale, dai Paesi Bassi all’isola di
Rodi. Le autorità naziste arrivarono alla conclusione che per
raggiungere tale obiettivo si dovesse far ricorso principalmente alla
deportazione delle vittime in luoghi dove le uccisioni fossero
effettuate utilizzando il gas e si dovessero lasciare in vita soltanto
pochissimi lavoratori indispensabili.
Tale piano generale, che non
aveva alcun precedente in nessun tipo di civiltà, si concretizzò tra la
primavera e l’estate del 1942 con l’attivazione di strutture adatte
allo scopo: i campi della morte. Ma se i due progetti ebbero uno
sviluppo tutt’altro che uguale (nel complesso di Auschwitz-Birkenau si
assistette a un costante ingrandimento delle strutture di sterminio, per
cui solo agli inizi dell’estate del 1944 entrarono in funzione impianti
di messa a morte «tecnologicamente avanzati», i cosiddetti Krematorium
«moderni», dotati di gigantesche camere a gas e una serie di forni per
la liquidazione dei cadaveri), il periodo in cui venne raggiunta la più
alta capacità complessiva di messa a morte di civili nella storia furono
quei 100 giorni messi in evidenza dal professor Stone. Insieme
funzionarono, infatti, le strutture di un sistema di sterminio con i
Gaswagen – camion in cui si immetteva all’interno dei cassoni il gas di
scarico dei motori, attraverso i tubi di scappamento – a Chełmno
(Kulmhof), in una regione dell’ex Polonia occidentale annessa al Reich; i
primi impianti a gas di Birkenau (Bunker 1 e 2); i tre campi
dell’«Aktion Reinhardt» nel Governatorato Generale, le camere a gas
«sperimentali» del campo di Majdanek, nei pressi di Lublino, oltre al
fatto che continuò l’omicidio di massa delle Einsatzgruppen e di altri
battaglioni di polizia con fucilazioni e uso di Gaswagen.
Per
comprendere l’ampiezza dello sterminio, tuttavia, è necessario
considerare soprattutto l’operazione omicida attuata all’interno del
Governatorato Generale, denominata «Aktion Reinhardt» in onore del capo
della Polizia di sicurezza, Reinhard Heydrich, ucciso in un attentato da
resistenti cechi. Tale Aktion era effettuata in tre campi: Belzec, tra
Cravovia e Leopoli, Sobibor, vicino a Lublino, e Treblinka, tra Varsavia
e Białystok. Questi erano strutturati in modo simile: le vittime
arrivavano direttamente su una rampa ferroviaria posta all’interno del
campo stesso; venivano poi portate in un’area in cui si svestivano e
consegnavano i loro averi; alle donne venivano tagliati i capelli e
quindi tutti erano diretti nelle camere a gas in cui veniva immesso gas
di scarico prodotto da motori installati in piccoli locali adiacenti. I
loro cadaveri infine venivano gettati in enormi fosse e – come nel caso
di Kulmhof – disseppelliti e bruciati durante il 1943.
Un
genocidio di così ampie dimensioni e compiuto in uno spazio temporale
così ristretto fu possibile perché gli esecutori agirono disponendo di
un margine di manovra illimitato, non frenati da alcun tipo di vincoli
burocratici, potendo fare uso indiscriminato della forza, ricorrendo in
molti casi alla corruzione, in un ambiente privo di scrupoli, senza
trovare alcuna resistenza, nella maggior parte dei casi con il sostegno
di forze locali in un contesto vigorosamente antisemita, in cui le
vittime – gli ebrei, ma, non dimentichiamolo, in parte anche i Sinti e i
Rom – erano completamente indifese.
Solo a Treblinka furono
uccise fra agosto e ottobre più di 600.000 persone, la maggior parte in
sole tre camere a gas iniziali non progettate per lo sterminio di così
tanta gente, ad opera di una quarantina di tedeschi e di circa 120 ex
prigionieri di guerra sovietici collaborazionisti. Auschwitz avrebbe
assunto il ruolo di campo principale della Shoah solo dopo il 1943.
Una storia «europea» non ancora entrata a far parte della nostra memoria collettiva.