Corriere 5.1.19
Guelfi e ghibellini, il mito da smontare
Solo etichette fluide per lotte di potere
Medioevo
La ricostruzione di Paolo Grillo (Salerno) dimostra che in realtà una
contrapposizione ideologica netta tra le due fazioni non è mai esistita
di Amedeo Feniello
Guelfi
e ghibellini. Poli di una contrapposizione ideologica che ha
attraversato il Medioevo, ma anche termini che ritornano ancora adesso:
veri e propri passe-partout retorici, da utilizzare nelle circostanze
più svariate. Basta solo inserirli nel database di un giornale come
quello che state leggendo e vi accorgerete che i riferimenti all’epoca
in cui vennero davvero usati, il Medioevo, sono davvero pochi. «Solo per
menzionare gli articoli più recenti, li usano i fautori e detrattori
dell’uso della Var durante il campionato di calcio, dell’istituzione
della zona a traffico limitato nel centro di Firenze, di una mozione
sull’antifascismo discussa nel consiglio comunale di Torino, delle
vaccinazioni obbligatorie e, per finire, di un particolare formaggio
vegano a base di zucchine». Sono parole di Paolo Grillo, storico del
Medioevo italiano, che, con ironia, ritorna sul tema della storia del
rapporto tra guelfi e ghibellini in Italia nel volume La falsa
inimicizia. Guelfi e ghibellini nell’Italia del Duecento (Salerno).
La
prima, opportuna operazione da lui compiuta è stata depurare la diade
guelfi/ghibellini dalla incombente sovrastruttura ideologica e
attualizzante. Lavoro spinoso, che gli ha consentito però di offrire,
degli eventi politici del basso Medioevo italiano, uno spaccato molto
più sfaccettato di quanto si immagini. Non è vero, osserva Grillo, che
all’epoca «tutta la vita pubblica si organizzasse attorno a tale
polarizzazione. Essa era invece legata all’interesse di specifici gruppi
di potere — talvolta interni al mondo comunale, talvolta estranei — che
manipolavano a loro vantaggio il conflitto».
I due termini
nascono negli anni Quaranta del XIII secolo in Toscana e divengono di
uso generale in tutta Italia solo diversi decenni dopo. Prima di allora
si parlava solo di «parte della Chiesa» e di «parte dell’Impero», senza
specificare con esattezza appartenenze, gruppi, delimitazioni politiche,
o adottando qualificazioni o appellativi. È probabile che i termini
guelfi e ghibellini «rimandassero all’aspra contesa per il controllo
della corona imperiale svoltasi fra il 1212 e il 1215 tra Federico II di
Svevia, appoggiato da papa Innocenzo III, e Ottone IV di Brunswick.
Ottone, infatti, discendeva dal duca Guelfo (Welf) di Baviera; a sua
volta Federico apparteneva alla casata di Svevia, il cui castello avito
era Weiblingen (Ghibellino, in italiano)». Nonostante ciò, non sembra
che i campi avversi abbiano adottato allora i due termini per
identificare la propria posizione politica. Dobbiamo invece ai
fiorentini il loro battesimo, per definire proprio i membri della
cittadinanza che parteggiavano per il papa o, viceversa, per
l’imperatore. E quest’uso, per circa un ventennio, rimase un’esclusiva
toscana. Finché il cronista angioino Andrea Ungaro, nel raccontare la
battaglia di Benevento del 1266, sdogana i due termini, conferendo loro
un «valore generale, valido per l’intera penisola, imitato, nei primi
anni Ottanta del Duecento, dal cronista romano Saba Malaspina». Da
allora, il fluire delle due demarcazioni diventa universale e si dipana
con l’assumere quei connotati che siamo abituati, sin dai banchi di
scuola, a conoscere. Il leitmotiv dello scontro politico nell’Italia
medievale.
Ma Grillo smonta proprio la vulgata della
contrapposizione netta tra i due schieramenti. La situazione, delle
città italiane, sottolinea, fu molto più fluida. Le dichiarazioni di
fedeltà all’Impero o alla Chiesa «coprivano in effetti una realtà
politica e una prassi diplomatica assai più elastiche e più duttili.
Esse potevano essere piegate o distorte lessicalmente per rivestire con
una patina ideologica le scelte dei partiti al governo, oppure potevano
venir semplicemente ignorate, nella costruzione di alleanze motivate da
contingenze particolari».
Pure per le famiglie e le persone
l’adesione a uno schieramento o all’altro non rappresentò mai una scelta
di campo definitiva, destinata a segnare un’intera vita o addirittura
quella di più generazioni. E se fu evidente che intorno alle idee guelfa
e ghibellina si andarono consolidando alcuni tratti identitari della
cultura politica del tempo, esse «non furono mai davvero cogenti nel
determinare l’agire di chi vi aderiva».
Guelfismo e ghibellinismo,
insomma, come parte di un gioco politico fluido e sfumato, aperto e
indefinito, con una contrapposizione che prendeva consistenza quando
qualcuno aveva interesse ad alimentarla, specie se il parteggiare si
poteva rivelare utile per creare alleanze sovracittadine o ampi
coordinamenti su scala «nazionale». Una partizione della società urbana
che continuò a lungo, fino alle guerre d’Italia, nel Cinquecento. Ma si
trattava, ormai, conclude Grillo, solo «di nomi tradizionali che non
evocavano più alcuna posizione significativa sotto il profilo
ideologico».