Corriere 5.1.19
Scrivere a mano fa bene
Aiuta a pensare ed esprimersi meglio (in modo unico) Da Harvard alla Cina il ritorno al culto della bella grafia
di Candida Morvillo
Pare
che stia tornando di moda scrivere a mano. Un’inchiesta del magazine
americano Medium racconta che, ultimamente, molti professori di Harvard
impongono agli studenti di prendere appunti manuali invece che su
computer e tablet, e che in Arizona e North Carolina le scuole hanno
lanciato campagne per insegnare correttamente il corsivo. In Cina, c’è
un movimento per riappropriarsi della capacità di scrivere di proprio
pugno: disabituarsi a maneggiare i loro difficili caratteri starebbe
depauperando la memoria nazionale.
Anche l’Italia si sta scoprendo
un popolo di scriventi oltre che di digitatori. Nel 2015 è nata
l’associazione Smed (Scrivere a mano nell’era digitale). Riunisce
insegnanti e calligrafi, organizza corsi da Roma in su, per «evitare un
impoverimento della motricità fine, della memoria visuale e motoria,
dell’organizzazione cognitiva della scrittura e della capacità di
esprimere noi stessi in modo unico, immediato, personale». L’Aci,
Associazione calligrafica italiana, sta registrando il boom d’iscrizioni
ai suoi corsi, una cinquantina l’anno. Fenomeno, questo, globale,
almeno da quando si sa che la duchessa Meghan Markle, da ragazza, per
lavoro, scriveva inviti ai matrimoni.
La vicepresidente dell’Aci
Anna Schettin racconta al Corriere: «Scrivere in bella grafia è
un’attività lenta e tutti abbiamo bisogno di rallentare. Le persone
stanno scoprendo che la grafia è personale, lascia un segno di sé, può
essere lieve, forte, calcata, parla della propria personalità». È come
se a furia di digitare, e anche dettare agli smartphone, di usare
faccine, scrittura predittiva che non contempla l’intero alfabeto del
cuore e della mente, abbiamo cominciato a chiederci se non ci stiamo
perdendo qualcosa.
Ricerche scientifiche dimostrano che scrivere a
mano aiuta a pensare meglio e l’Istituto grafologico internazionale di
Urbino Girolamo Moretti si è adoperato affinché la scrittura a mano sia
proclamata dall’Unesco patrimonio dell’umanità. Benedetto Vertecchi,
professore emerito di Pedagogia all’Università Roma Tre, autore di oltre
600 pubblicazioni, è a capo di un gruppo di studio sui bambini e la
scrittura manuale e spiega al Corriere: «I nostri test hanno dimostrato
che scrivere a mano aumenta enormemente la capacità di usare il
linguaggio. Non è solo questione di tracciare segni, ma del pensiero che
corrisponde al segno che si traccia. Scrivendo sulla carta, il pensiero
si esprime in modi molto più distesi e riflessivi che con altri mezzi».
Le sue ricerche rilevano anche che usare la penna ha effetti positivi
sulla manualità in generale: «Un bimbo che la tiene correttamente con
pollice, indice e medio, invece che con due dita o impugnandola come una
clava, è anche un bimbo che tipicamente sa allacciarsi le scarpe e
usare bene un cucchiaio».
È come se il pensiero mi scivolas-se dalla testa lungo la mano de-stra. Come se avessi un cervelli-no nelle dita
Molti
che scrivono per mestiere non si sono mai convertiti al pc. James
Ellroy scrive a mano i suoi libri, così le loro sceneggiature Quentin
Tarantino e George Clooney, che assicura di essere un disastro nel
«copia e incolla». Da oltre trent’anni, Maria Venturi produce best
seller (l’ultimo libro, per HarperCollins, è Tanto cielo per niente) e
lo fa sempre a mano. Dice: «Quando ero una giovane giornalista, ero
anche una veloce dattilografa e ora so usare il computer, però ho sempre
creato solo con carta e penna: è come se il pensiero mi scivolasse
dalla testa lungo la mano destra. È un testa-mano continuo, ho un
cervellino nelle dita che reggono la penna e mi correggono o mi dettano
il sinonimo. Se in mezzo ci metto una macchina, vado lenta e la
concentrazione si spezza. Per cui, scrivo a mano e poi copio al computer
e mando».
Se s’incontra in aereo o in treno l’ex Miss Italia
Martina Colombari, è facile vederla intenta a compilare un taccuino. Lei
stessa lo spiega così al Corriere: «Scrivere a mano mi rende i pensieri
più chiari e limpidi. Lo faccio se prendo appunti e, dopo aver seguito i
seminari di meditazione, metto su carta le mie riflessioni. È un
momento per stare con me stessa che non sarebbe uguale se avessi per
filtro una tastiera. Anche quando devo dire qualcosa d’importante a una
persona cara, scrivo lettere, non email».
Il professor Vertecchi
suggerisce un esercizio pensato per i più piccoli, ma utile anche agli
adulti. Lo si trova nel suo libro I bambini e la scrittura (Franco
Angeli editore, 2016) ed è l’esperimento intitolato a una frase di
Plinio il Vecchio, «Nulla dies sine linea», «Nessun giorno senza un
segno». Basta scrivere ogni giorno poche righe — gli scolari di quinta
ne hanno scritte sei — ogni volta esercitandosi su un semplice tema,
tipo «com’è il tempo oggi». In quattro mesi, si scopre che sono
migliorati la qualità del linguaggio e del pensiero. Provare per
credere.