Corriere 5.1.18
La cura contro l’ansia? Scrivere a mano
Da Harvard alla Cina torna il culto della bella grafia. «È come avere il cervello nelle dita»
di Emanuele Trevi
Scrivere
a mano fa bene. Aiuta a pensare ed esprimersi meglio. L’abitudine di
scribacchiare a mano è un potente ansiolitico, innocuo per la salute e a
basso costo. Come avere il cervello tra le dita. E da Harvard alla Cina
torna la moda della bella grafia. Nell’università americana i
professori spingono gli studenti a mettere da parte tablet e pc per
prendere appunti con la penna.
«Chi non capisce la sua scrit-tura è
un asino di natura». Le persone della mia età probabilmente ricordano
questo saggio ammonimento delle maestre, alle elementari. Mi immaginavo
sempre degli asini in grembiule scolastico che tenevano tra le zampe,
molto imbarazzati, un quaderno pieno di scarabocchi indecifrabili. Il
bello del proverbio è che mette in risalto un aspetto della scrittura
che di solito viene trascurato: non c’è vera comunicazione con gli altri
che non sia, prima di tutto, una comunicazione con se stessi. Oggi i
margini di impiego della carta e della penna si sono talmente ristretti,
soprattutto fra i più giovani, che la nobile arte di prendere appunti,
di tenere un diario, di mandare una cartolina a qualcuno sembrano degli
anacronismi non molto diversi dall’uncinetto o dalla caccia alla volpe.
Eppure, lo sappia-mo: è quando le cose diventano del tutto inutili che
possiamo compren-derne pienamente il loro valore. E il fatto che le
librerie siano piene di quadernetti colorati e di penne di ogni tipo può
essere visto come un indizio confortante. Personalmente, posso
testimoniare che l’abitudine di scribacchiare a mano è un potente
ansiolitico, innocuo per la salute e a basso costo. Ci sono degli
argomenti che sembrano fatti apposta per la penna: provate ad annotare
un sogno con la tastiera di un compu-ter, e dopo un po’ vi sembrerà di
leggere il sogno di un altro, o una noiosa congerie di fatti
strampalati. Il fatto è che la scrittura a mano è un potentissimo mezzo
di appropria-zione di quelle zone, di quei livelli della realtà che
tendono a sfuggire a una piena percezione. Quanto più una cosa è intima,
infatti, tanto più è opaca, indeterminata. E la calligrafia, che oggi
non è più vigilata da nessu-na regola, è lo strumento che più si addice
alla sfera più personale della nostra esperienza: che è quella in cui le
cose accadono in una data manie-ra per ogni individuo e solo per lui.
Quel meraviglioso, incredibilmente complesso gioco neuronale e muscolare
che mettiamo in atto ogni volta che scriviamo, infatti, non produrrà
mai lo stesso identico risultato di un altro. Marina Cvetaeva annotò in
uno dei suoi stupendi taccuini: «Scrivere significa vivere». Nel 1919,
la grande poetessa russa era così povera che non aveva scelta: i
quaderni se li cuciva, e si faceva anche l’inchiostro. Ma sono parole
che valgono anche per noi, perché gli hobby a volte non sono meno
urgenti delle necessità. È quando «non si vive», ci avverte Marina, che
«la mano rifiuta la penna».