La Stampa 5.1.19
Si allontana l’integrazione dei migranti
di Maria Rosa Tomasello
Giandomenico
Maniscalco ha la fermezza delle convinzioni e il coraggio dell’amore di
un padre: «A Ibrahim l’abbiamo detto. Finché starà a casa nostra, lo
difenderemo a tutti i costi, dovranno mandare l’esercito... Ma prima per
fortuna ci sono molte vie che possono essere percorse sul piano del
diritto». Nella casa di Palermo di Maniscalco, dirigente in pensione
della Regione Sicilia, e di sua moglie Patrizia Picciotto e dei due
figli, Ibrahim è arrivato un anno fa nell’ambito del progetto «Refugees
Welcome», e per lui le porte si sono aperte «a tempo indeterminato».
Venuto dal deserto subsahariano e dalle prigioni libiche, che oggi è uno
studente modello dell’ Istituto Nautico e che, come migliaia di altri
ragazzi, rischia di passare senza colpe dalla legalità alla
clandestinità. Un caso emblematico perché, sottolinea Maniscalco, «se è
vero che il decreto sicurezza vuole garantire una migliore integrazione,
noi questo già lo pratichiamo». Il futuro di Ibra è appeso alla
richiesta di rinnovo del permesso umanitario, ma a novembre, dopo
l’entrata in vigore del decreto Salvini, l’ufficio anagrafe del Comune
gli ha negato l’iscrizione: nessuna residenza, nonostante i documenti
sulla sua situazione di accoglienza fossero già da mesi nella banca dati
della questura. «Ha una casa, una famiglia. Cosa occorre che abbia di
più? – chiede Maniscalco - Condividiamo pranzo e cena, le risate davanti
alla tv, qual è l’elemento ostativo che può privare una persona della
sua felicità?».
Un’analisi dell’Ispi stima che la stretta imposta
dal governo creerà nei prossimi due anni 130mila irregolari, persone che
oggi risiedono in Italia legalmente grazie ai permessi umanitari che la
nuova legge cancella, mentre Save the Children lancia l’allarme per le
migliaia di minori stranieri non accompagnati che compiranno 18 anni nel
2019 (6780) e che, rimasti senza tutele, potrebbero finire in un limbo.
Said
D. ha compiuto 20 anni il 15 luglio. E’ arrivato in Italia da solo,
quando era minorenne. «Come minore non accompagnato nel 2015 ha avuto la
protezione umanitaria per vulnerabilità e oggi, dopo aver lavorato in
condizioni di sfruttamento nelle campagne del sud Italia, vive in un
centro di accoglienza del Comune di Roma - racconta Giovanna Cavallo,
coordinatrice legale di Baobab - Il suo permesso di soggiorno è scaduto a
giugno: ma mentre in precedenza per i neo-maggiorenni il rinnovo era
abbastanza automatico, prima ancora che entrasse in vigore il decreto
Salvini la questura gli ha chiesto di presentarsi a gennaio con un
contratto di lavoro. Una richiesta che noi abbiamo contestato perché
illegittima».
A finire nelle maglie della legge c’è anche chi ha
un lavoro stabile, spiega Daniela Pompei della Comunità di Sant’Egidio.
Mohamed ,originario del Mali,è uno di questi: «Fa il magazziniere, parla
perfettamente italiano. Ha fatto domanda di rinnovo del permesso per
motivi umanitari prima di ottobre, quando il contratto di lavoro non era
richiesto, e gli hanno dato l’etichetta di “caso speciale”: vale un
anno e non potrà più essere convertito in un nuovo permesso». Un rigore
che non risparmia nessuno. Neppure Liu, 30 anni, tunisino. Nel Natale
del 2015 sbarca in Italia dalla Francia per far visita agli amici,
subisce una gravissima aggressione alla stazione Termini e perde la
vista. Il questore gli concede un permesso umanitario e Liu inizia un
lungo e difficile percorso di riabilitazione: «Ora vogliono dargli un
permesso per cure mediche, che però non assicura gli stessi diritti.
Perderebbe l’indennità di invalidità e la possibilità di vivere nel
centro per non vedenti. Tutto diventerebbe precario, interrompendo il
percorso che il nostro Paese finora gli ha garantito».