La Stampa 5.1.19
Gli africani non possono più partire
di Domenico Quirico
L’oscura
pericolosa magia del muoversi insieme, verso l’ignoto, che dava moto
agli alberi stecchiti, alle capanne di lamiera, alle luride piste di
sabbia, non si ripeterà. Eppure, così, i giovani facevano la Storia
camminando, la loro vita era un’epopea, un’odissea. Erano l’Inizio
assoluto. L’Africa intera affronta il primo anno senza Migrazione.
Riuniti
nello spiazzo del villaggio, tra le capanne strette come scaglie di
pigna; nei sordidi caffè delle bidonvilles di uomini ammonticchiati,
dove la povertà sembra ancora più cruda, città affamate di pane, di
elettricità, di acqua, di soldi; aggruppati lungo i mercati di stracci e
di fango, si sente un pensiero fisso che rode. Inutile: quest’anno per
la prima volta non si partirà!
Le notizie che arrivano da Nord del
mondo sono chiare: le vie sono chiuse. In Niger, in Libia, lungo tutta
la frontiera del mare i gendarmi i soldati i funzionari ora vigilano.
L’incredibile è accaduto: l’Europa ha sbarrato le porte del mare e di
terra. Come se per miracolo avesse di colpo spostato le sue frontiere, i
suoi muri più a Sud. Avesse reso più piccolo il mondo.
Qualcuno,
testardo, tenterà. Partirà egualmente. Forse qualche rivolo di migranti
riuscirà ancora a passare. Ma era la Grande Migrazione verso il nord del
mondo la stella polare su cui ruotava la vita di migliaia di giovani
africani. E questa improvvisamente si è spenta. Da questa parte del
mondo non ce ne siamo mai accorti, avvolti nella nostra piccola rete di
paure razziste, di furberie geopolitiche, di ipocrisie. Ma la migrazione
ha disincagliato la Storia di un continente, ora per reinventare il
mondo dovranno rivolgersi a sé stessi. Non sarà passaggio lieve.
Una
generazione di africani nel partire ha trovato una uscita di sicurezza
alla miseria del loro presente, tanto da farne un rito di passaggio
verso la vita adulta. Nel contempo ha allentato la stretta su economie
sull’orlo della carestia e sollevato dalla prospettiva di essere uccisi
in conflitti tribali e fanatici, o schiacciati da regimi implacabili.
Ora sono di nuovi prigionieri di un cerchio remissivo che protegge e
sfianca. Sono uomini che si devono ricomporre.
Per i despoti, gli
eterni signori della «tribù signorsì» dell’Africa subsahariana con cui
teniamo interazioni avide e disoneste la Migrazione è stato un
utilissimo diversivo. Ha distratto una generazione dall’intuizione che
la loro liberazione poteva farsi se non con la forza. La forza
rivoluzionaria. Se li ritrovano davanti, i traviati e i proscritti,
faccia a faccia. Bisognerà fornire ai nostri «alleati» ancora una volta
baionette e cannoni. Dobbiamo cominciare a sospettare che l’Africa che
abbiamo voluto, per sfruttarla con comodo, stia per dissolversi,
decomporsi, diventare amorfa, come dicono i chimici.
La brutalità
dei rapporti di potere qui impone la violenza come unica soluzione per
rovesciarli, non c’è mediazione: anche per colpa nostra. Il giovane
africano che da noi aspettava un aiuto e un pezzo di carta che
l’autorizzasse a un’altra vita sarà costretto a ricominciare dalla fine,
dalla rivolta, dalla cancellazione dell’ordine antico. Devono di nuovo
decolonizzarsi, estirpare da sé il mite, servile suddito di queste
infinite tirannidi. I dannati della terra sono di nuovo al punto di
partenza. La migrazione fallita ha creato uomini nuovi ma li ha lasciati
a metà.
Ma c’è un altro elemento in questo primo anno senza
Migrazione: coloro che hanno tentato, sono stati respinti e tornano
indietro. La sconfitta era vissuta finora come una umiliazione
personale, un rimorso. Perché altri avevano dimostrato che era possibile
riuscire. La sconfitta collettiva impone una riflessione più complessa:
i giovani possono ricomporre la loro condizione umana solo se rifiutano
la colpa e la trasformano in rabbia. Hanno vissuto tutto il ciclo delle
esperienze, superato le prove più dure e sentono di essere rimasti
incompleti, mutilati. Diventano ribelli e rivoluzionari perché
trasferiscono questa sensazione di incompletezza alla società in cui
sono tornati: per metterla frutto. Li farà saltare il fosso. Finalmente
con le spalle al muro liberano la rabbia che suscitano in loro vecchi
misfatti riscaldati. La violenza come la lancia di Achille può
cicatrizzare le ferite.
C’è qualcuno che potrebbe sfruttare a suo
vantaggio la rabbia di questi giovani sconfitti. I jihadisti. Sono lì,
dal Mali alla Nigeria, dalla Somalia al Centrafrica. Attendono
l’occasione. Tra questi giovani rimasti senza Migrazione c’è il
«lumpenproletariat» africano ma anche una generazione istruita: dunque i
futuri burattinai del terrore e i futuri martiri ciechi e
inconsapevoli.