mercoledì 30 gennaio 2019

La Stampa 30.1.19
Gli afghani hanno creduto alle nostre promesse
di Domenico Quirico


L’America, l’Occidente ha perso la guerra in Afghanistan. Ogni sconfitta, ogni rovina ha un pathos suo proprio. Talvolta anche intriso di dignità.
Quella afghana, sanzionata dall’annuncio del ritiro americano, appare in una posa mediocre, ipocrita. Impuro, è tutto impuro in questa tragedia. C’è solo smorta rabbia, insolenza, la vecchia plumbea nausea di quando dobbiamo constatare che non sappiamo essere all’altezza di quello che dovremmo essere. Ha i colori della maceria. Il colore della bugia.
Ecco: a un certo punto la realtà della guerra scopre i suoi assoluti. Sì, abbiamo perso anche noi la guerra afghana: dopo l’Inghilterra nell’Ottocento e l’Unione Sovietica nel secolo che ci siamo appena lasciati alle spalle. Nonostante i miliardi dilapidati, i morti, gli sgherri che abbiamo gettato nella mischia autorizzandoli a usare il nostro nome, le nostre bandiere. E’ come se ci accorgessimo che tutto il nostro mondo degrada: stupidità delle promesse che abbiano fatto, la democrazia i diritti delle donne le bambine che dovevano andare a scuola gli aquiloni che dovevano tornare a volare nei cieli angelici di Kabul. Marci di questi stupori, rancori, vergogne, quasi pensiamo di poter passare tutto questo sotto silenzio. Anzi in qualche caso esultando con ostentazione vistosa e sguaiata: benissimo! Così risparmiamo denaro.
Dopo aver rifiutato di riconoscere la verità, siamo sconfitti, ci volevano Trump e i suoi caudatari europei per annunciare la fuga. Sono piccoli. La loro braveria minacciosa, il loro parlare apodittico, imperioso ha un falsetto che fa pena: i taleban in fondo, ci rassicurano, non hanno la cattiveria viperina dell’Isis, i taleban. Forse non imporranno la sharia i taleban. Non faremo certo meno dura la nostra colpa, cercando di ingannare per primi noi stessi. Per favore: proviamo a immaginare i pensieri degli afghani che hanno creduto alle nostre promesse. I più anziani avranno in mente la scena tremenda del presidente afghano che aveva creduto in un altro aiuto fraterno, quello dei russi: tirato fuori dal suo nascondiglio, impiccato a un distributore all’ingresso di Kabul, la bocca riempita di banconote. I ricchi, i potenti fuggiranno prima dell’arrivo dei taleban: hanno già la villa in America, loro. Gli altri… Sono migliaia che, sinceramente, ingenuamente hanno creduto agli Stati Uniti, all’Occidente. Hanno con coraggio sfidato divieti e tabù: gli occidentali non se ne andranno! Sono migliaia laggiù, in queste ore, ad accettare il nostro tradimento e la nuova schiavitù. Non ascolteranno i nostri discorsi, non leggeranno più i nostri libri. Le nostre idee le saluteranno sputandoci sopra. E’ finita: anche lì, in un altro angolo del mondo. L’Occidente ormai è solo silenzio. Smarrito in qualche parte della notte, tutto a luci spente, come una nave. I taleban hanno vinto.
C’erano i collaborazionisti per denaro e per losche trame di potere. Ma c’erano quelli che non volevano la sharia, le lapidazioni, l’ottusa semplificazione del mondo del mullah Omar e dei suoi soci salafiti, intellettuali donne giovani che hanno pensato che davvero le nostre grossolane droghe demagogiche fossero verità. Scusate: ce ne andiamo, vi consegniamo ai carnefici. La sconfitta e il tradimento l’abbiamo tra i denti, li mastichiamo, noi siamo sconfitti. Ce li lasciamo dietro gli illusi, i creduloni: democrazia modernità Occidente. Li consegniamo al provvido dio dei vinti, come mille altri «alleati» che abbiamo abbandonato per viltà e convenienza, vietnamiti, somali, siriani, curdi: che vadano combattendo verso la loro notte, foscamente orgogliosi della inesorabilità della propria voluta distruzione. Che almeno ci resti la gravità e la misericordia del silenzio.