La Stampa 30.1.19
D’Alema: “La sinistra può rinascere in Europa. Ma no alle ammucchiate antisovraniste”
L’ex
premier: Speriamo che il congresso dia a Zingaretti la forza di
inaugurare un nuovo corso politico. Credo che, se ci sarà una svolta nel
Pd, si potrà riaprire anche una prospettiva di dialogo con noi”
di Francesco Bei
«Se
rappresentiamo quello che sta avvenendo come un conflitto tra
europeisti e sovranisti cadiamo in una trappola: in questi termini la
partita è già persa. Sarebbe un suicidio per la sinistra convergere in
un’ammucchiata con tutti quelli che difendono l’Europa così com’è contro
la “barbarie sovranista”». Nel suo studio di presidente di
ItalianiEuropei, dopo una lunga trasferta di lavoro in Cina («ormai
faccio il pendolare con il mio ufficio a Pechino»), Massimo D’Alema
torna dopo molto tempo a parlare di politica italiana.
Romano
Prodi, in un’intervista alla Stampa, ha paragonato per importanza le
prossime europee a quelle del 1948 in Italia. Davvero è così a rischio
la costruzione europea?
«Ho letto e apprezzato l’intervista di
Prodi. Secondo me il progetto europeo è a rischio non per l’avanzata dei
sovranisti. Quella piuttosto è la febbre, debilitante certo, ma la
malattia è un’altra».
Quale?
«L’egemonia neoliberista,
monetarista, lo svuotamento dei contenuti etico-politici e sociali del
progetto europeo a cui abbiamo assistito negli ultimi quindici anni.
Questo è il punto: il populismo cresce a partire da una rottura tra il
progetto europeo e le attese di una gran parte dei cittadini. Non
scambiamo la causa con l’effetto».
Juncker ha anche fatto autocritica per l’austerità eccessiva imposta ai Paesi più deboli. Non basta?
«C’era
chi l’aveva detto per tempo. A partire da Maastricht in poi lo sforzo
europeo è stato solo quello di costruire un impianto di norme e vincoli
che hanno come unico scopo la stabilità monetaria, il divieto di aiuti
di Stato e l’apertura dei mercati. L’ideologia dominante è stata quella
neoliberista: bisognava che la politica arretrasse e lasciasse tutto lo
spazio all’economia e alla finanza. Una visione ottimistica della
globalizzazione che non ha funzionato e ha comportato in tutto il
Continente una crescita delle diseguaglianze e anche alcune aree
significative di povertà. È mancata una grande strategia europea di
sostegno agli investimenti e alla crescita».
L’Europa è anche welfare, diritti sociali, difesa dell’ambiente...
«Certo,
sulla carta. Però faccio notare che mentre gli obiettivi di stabilità
finanziaria sono presidiati da trattati internazionali e da un sistema
di controlli e punizioni, gli obiettivi di sviluppo sono solo degli
auspici. Non scatta nessuna procedura di infrazione se uno Stato non
garantisce l’occupazione. E questa asimmetria non è neutra, è frutto di
un’egemonia culturale».
Quindi al centro di una proposta politica per le europee ci dovrebbe essere una svolta radicale?
«Esattamente.
Bisogna avere una legislatura costituente che ridefinisca il patto
europeo. Il documento di Thomas Piketty va in questa direzione».
Anche Carlo Calenda, con il suo manifesto europeista, dice che la Ue va cambiata. È d’accordo?
«Apprezzo
l’intenzione di Calenda, almeno ha messo in movimento le cose di fronte
alle lentezze della sinistra, ha avuto il merito di alzare una
bandiera. Ma non è sufficientemente chiaro: il discrimine deve essere il
cambiamento. Non si può lanciare un appello e poi essere costretti a
precisare che non è rivolto a Forza Italia. Se avesse un impianto
programmatico netto non ci sarebbe bisogno di un chiarimento a piè di
pagina».
Calenda ha anche messo un paletto a sinistra.
«Non spetta a lui decidere con chi si deve alleare il Pd, c’è un congresso e non mi sembra che si sia candidato».
E lei invece come guarda a questo Pd?
«Con
interesse e con l’auspicio che la nuova leadership del Pd riprenda
l’ispirazione unitaria in vista delle europee. Non vedo una prospettiva
del centrosinistra se non riprende vita il Pd. Naturalmente dovrà avere
il coraggio di una riflessione critica su questi anni, non può pensare
di far finta di non aver perso le elezioni».
Le sinistre italiane si potrebbero reincontrare?
«Ma
certo. Oltretutto a livello europeo la sinistra italiana è più unita
che a casa. I parlamentari di Leu e del Pd fanno parte dello stesso
gruppo. Non vorrei che l’appello unitario, visti i primi distinguo,
avesse come unico effetto quello di dividere in Europa ciò che ora è
unito».
Di fronte a Salvini e al suo «chiudiamo i porti», brutale ma efficace, cosa può opporre la sinistra?
«Il terreno su cui sfidare Salvini è un grande progetto che appassioni i cittadini e che chiarisca il vero interesse nazionale».
Ma sui migranti la Lega sembra più in sintonia di voi con gli italiani, non crede?
«No
se facciamo capire alla gente che l’Italia ha interesse su questo tema
ad avere meno sovranità nazionale e più integrazione europea. Il difetto
dell’accordo di Dublino è proprio che è troppo sovranista, lascia ai
singoli Paesi il compito di risolvere da soli il problema. Più l’Europa è
sovranista, più l’Italia è isolata e esposta».
Intanto il caso
Sea Watch ripropone le immagini terribili di persone in ostaggio in
acque italiane. Ma i sondaggi premiamo il ministro dell’Interno proprio
per la sua linea dura.
«Sono i governi nazionali, in primo luogo
quelli alleati della Lega, che hanno detto di no al meccanismo di
ripartizione delle quote. Il nostro alleato in questa battaglia è
proprio Bruxelles, perché le istituzioni europee hanno proposto
meccanismi di solidarietà. Altrimenti l’Italia sarà sempre esposta alla
drammatica questione etica se aprire i porti oppure violare i diritti
umani. E questo è logorante per un Paese, perché determina un
inasprimento del conflitto, e alla fine si logora anche il truce
ministro dell’interno».
Perché l’opposizione sembra non esistere? La maggioranza occupa tutto il campo?
«Ci
sarà una ragione perché, malgrado tutti gli errori del governo e tutti i
tweet che hanno caratterizzato un’incalzante azione di opposizione, nei
sondaggi non si muove nulla? Un’opposizione così è inefficace, a volte è
persino fastidiosa perché non c’è una parola di autocritica.
Difficilmente si potranno convincere gli italiani che devono rimpiangere
il governo che c’era prima e che loro stessi hanno bocciato con il
voto».
Le Europee possono essere il terreno di una ripresa della sinistra?
«Certamente
sono un’occasione per rimettere in campo un grande schieramento
progressista che dica: abbiamo capito, avete ragione ad essere
arrabbiati, ma l’arroccamento nazionalistico che offre il governo è la
risposta sbagliata. Questo è il terreno di un possibile dialogo con i
cittadini».
Quindi, nonostante i sondaggi, lei vede qualche segnale di speranza?
«Un
grande segnale di speranza c’è ogni volta che Papa Francesco prende la
parola. Un altro è l’elezione di Landini. È un fatto molto importante
per la sinistra che, dopo il confronto politico, il gruppo dirigente
della Cgil, da Colla a Camusso, sia arrivato a una scelta unitaria. Nel
suo piccolo, anche la Prestigiacomo che sale sulla Sea Watch è un
segnale di speranza. Certi valori di umanità non hanno colore. Non è un
panorama disperato».
E l’eventuale elezione di Zingaretti a segretario potrebbe aiutare riallacciare i rapporti a sinistra?
«Speriamo
che il congresso dia a Zingaretti la forza di aprire un nuovo corso
politico. Credo, da osservatore e semplice tesserato di Articolo uno,
che se c’è una svolta nel Pd si possa riaprire anche una prospettiva di
dialogo a sinistra».