La Stampa 29.12.18
Quel dialogo a Milano con Barenboim
“Per la pace ci vuole più coraggio”
“Sì Daniel, ma serve anche prudenza”
di E. LO.
Una
colazione a casa Feltrinelli in una torrida Milano di fine giugno. Gli
ospiti vagano tra il buffet e i divani. Sono seduta a tavola accanto ad
Amos Oz - «Il caldo del mio deserto - dice con un sorriso sudato di
stanchezza - è una brezza al confronto di questo». Ma il peso dell’afa
svanisce: sarà merito dei libri tutt’intorno, della storia che queste
pareti raccontano, delle non meno storiche (e tiepide, per fortuna!)
cotolette formato scottadito. Amos Oz e Richard Ford, entrambi ospiti
della Milanesiana, chiacchierano da vecchi amici. Gli altri commensali
ascoltano - perché questa casa sa la magia di insegnarti quand’è giusto
tacere, sentire. Com’è duro il mestiere di scrittore. Altro che
divertente! È dolore puro. Dice Oz, Ford ascolta e assente.
Da due
anni non produco più, confessa Ford dopo una pausa, sto meglio se non
scrivo. E leggere?, continua Oz. Mai! Se leggo qualcosa di mio, è
garantita la frustrazione: o mi piace tanto e penso che non sarò mai più
capace di scrivere così; o lo detesto e mi dico: come ho potuto
scrivere una cosa del genere? Ford ride con rassegnazione convinta.
Torna al buffet. Mentre Oz e Ford discorrono dell’ingrato destino di
scrittore costretto a reinventarsi - e a reinventare - ogni volta
daccapo (un bravo falegname fa sempre la stessa sedia, lo scrittore che
si ripete è inutile), ecco il colpo di scena. La sorpresa travolge la
padrona di casa, ma c’è da giurarci che l’ha orchestrata lei, con la
perfezione dell’entusiasmo. Orchestrata nel vero senso della parola, ché
di Daniel Barenboim si tratta. Inge Feltrinelli lo accoglie in un misto
di italiano e tedesco, «Non sembra arghentino?» (in effetti, è nato a
Buenos Aires). «Tutto bianco! - prosegue Inge - Ma il panama no, mi
raccomando, niente panama, da quando lo mette anche...». Il maestro
parla italiano, ma quando vede Oz nessuno lo scosta più dal suo, dal
loro ebraico.
È una lingua densa e profonda, va al ritmo dei
pensieri e delle battute da lasciar depositare, prima di afferrarle.
Intorno al tavolo, nessuno (a parte me) capisce che cosa i due stiano
dicendo, eppure tutti continuano a tacere, e ascoltare. Oz: «Daniel, hai
sentito il discorso del marito di Carla Bruni, l’altro giorno alla
Knesset? Ma sì! I giornali israeliani non parlavano che di lei - Carla».
(Oz mette l’accento sulla prima e non sull’ultima «a». In un romanzo di
tempo fa giocava con questo nome addosso a un personaggio, perché in
ebraico Car-lah significa «lei ha freddo») Barenboim: «Sì. Mi è
piaciuto. Molto. Profondo. Molto umano». (Il presidente francese ha
usato parole molto equilibrate: no al terrorismo ma anche no agli
insediamenti. Ha toccato il cuore degli israeliani parlando
dell’importanza di Israele per gli ebrei).
Oz: «E poco politico. È
piaciuto molto anche a me. Meqawwim...». (Significa «speriamo», in
ebraico. Ma è seguito da una sequenza infinita di puntini di
sospensione). Barenboim: «Amos, perché non vieni a parlare ai ragazzi
della mia orchestra? Ci faresti un grande regalo. Quando vuoi. Sai che
con me ci sono palestinesi, siriani, libanesi, persino dei ragazzi
iraniani. Questa estate, che dici?». Oz: «Mi piacerebbe molto, ma
l’estate è per me, sai, periodo di clausura. Sono in clausura di
scrittura». (Sta lavorando a dei racconti). Barenboim: «Amos, come vedi
la situazione? Io sono preoccupato. Non pensi che noi israeliani
dovremmo avere più coraggio?». Oz: «Guarda, Daniel, io sono convinto che
la gente sia rassegnata. Da una parte e dall’altra, sa che il nostro e
loro destino è quello di vivere vicini, uno accanto all’altro. Credo che
questa consapevolezza sia ormai scontata. Come quando si decide che un
paziente è da operare: bisogna tagliare e fare due Stati, che piaccia o
no».
Barenboim: «Hai ragione. Ma io penso che ci vorrebbe più
coraggio da parte nostra. Dovremmo aprirci di più. Penso che tocchi a
noi, lo slancio. Mi sembra come se ci mancasse qualcosa, senza questa
volontà, da parte nostra, di fare il primo passo. Aprire, in tutti i
sensi». Oz muove le mani. Le accosta, le incrocia: «Con prudenza. Dopo
tanto scontro, prima di abbattere le barriere ci vuole pazienza. Bisogna
imparare a vivere vicini. Bisogna prima abbattere le paure reciproche».
Barenboim ha un eloquio più andante. Ascoltarli insieme è come salire e
scendere lungo lo spartito. «Ma la situazione è quella che è. Non mi
convince. Tu vedi la reale possibilità che questa classe dirigente
faccia dei passi avanti?». Oz: «Daniel, sottovaluti l’effetto sorpresa
della storia. Secondo te, se qualcuno avesse detto a Gorbaciov, solo
qualche anno prima, tu sarai la glasnost, lui ci avrebbe creduto? E che
Sadat sarebbe venuto a Gerusalemme, chi l’avrebbe mai detto? Nemmeno
lui, no di certo, fino a poco prima! Chi fa la storia non ne è quasi mai
consapevole!». Barenboim: «Hai ragione, hai ragione... speriamo. Ma
quando vieni a parlare ai miei ragazzi?».