mercoledì 2 gennaio 2019

La Stampa 29.12.18
Quel dialogo a Milano con Barenboim
“Per la pace ci vuole più coraggio”
“Sì Daniel, ma serve anche prudenza”
di E. LO.


Una colazione a casa Feltrinelli in una torrida Milano di fine giugno. Gli ospiti vagano tra il buffet e i divani. Sono seduta a tavola accanto ad Amos Oz - «Il caldo del mio deserto - dice con un sorriso sudato di stanchezza - è una brezza al confronto di questo». Ma il peso dell’afa svanisce: sarà merito dei libri tutt’intorno, della storia che queste pareti raccontano, delle non meno storiche (e tiepide, per fortuna!) cotolette formato scottadito. Amos Oz e Richard Ford, entrambi ospiti della Milanesiana, chiacchierano da vecchi amici. Gli altri commensali ascoltano - perché questa casa sa la magia di insegnarti quand’è giusto tacere, sentire. Com’è duro il mestiere di scrittore. Altro che divertente! È dolore puro. Dice Oz, Ford ascolta e assente.
Da due anni non produco più, confessa Ford dopo una pausa, sto meglio se non scrivo. E leggere?, continua Oz. Mai! Se leggo qualcosa di mio, è garantita la frustrazione: o mi piace tanto e penso che non sarò mai più capace di scrivere così; o lo detesto e mi dico: come ho potuto scrivere una cosa del genere? Ford ride con rassegnazione convinta. Torna al buffet. Mentre Oz e Ford discorrono dell’ingrato destino di scrittore costretto a reinventarsi - e a reinventare - ogni volta daccapo (un bravo falegname fa sempre la stessa sedia, lo scrittore che si ripete è inutile), ecco il colpo di scena. La sorpresa travolge la padrona di casa, ma c’è da giurarci che l’ha orchestrata lei, con la perfezione dell’entusiasmo. Orchestrata nel vero senso della parola, ché di Daniel Barenboim si tratta. Inge Feltrinelli lo accoglie in un misto di italiano e tedesco, «Non sembra arghentino?» (in effetti, è nato a Buenos Aires). «Tutto bianco! - prosegue Inge - Ma il panama no, mi raccomando, niente panama, da quando lo mette anche...». Il maestro parla italiano, ma quando vede Oz nessuno lo scosta più dal suo, dal loro ebraico.
È una lingua densa e profonda, va al ritmo dei pensieri e delle battute da lasciar depositare, prima di afferrarle. Intorno al tavolo, nessuno (a parte me) capisce che cosa i due stiano dicendo, eppure tutti continuano a tacere, e ascoltare. Oz: «Daniel, hai sentito il discorso del marito di Carla Bruni, l’altro giorno alla Knesset? Ma sì! I giornali israeliani non parlavano che di lei - Carla». (Oz mette l’accento sulla prima e non sull’ultima «a». In un romanzo di tempo fa giocava con questo nome addosso a un personaggio, perché in ebraico Car-lah significa «lei ha freddo») Barenboim: «Sì. Mi è piaciuto. Molto. Profondo. Molto umano». (Il presidente francese ha usato parole molto equilibrate: no al terrorismo ma anche no agli insediamenti. Ha toccato il cuore degli israeliani parlando dell’importanza di Israele per gli ebrei).
Oz: «E poco politico. È piaciuto molto anche a me. Meqawwim...». (Significa «speriamo», in ebraico. Ma è seguito da una sequenza infinita di puntini di sospensione). Barenboim: «Amos, perché non vieni a parlare ai ragazzi della mia orchestra? Ci faresti un grande regalo. Quando vuoi. Sai che con me ci sono palestinesi, siriani, libanesi, persino dei ragazzi iraniani. Questa estate, che dici?». Oz: «Mi piacerebbe molto, ma l’estate è per me, sai, periodo di clausura. Sono in clausura di scrittura». (Sta lavorando a dei racconti). Barenboim: «Amos, come vedi la situazione? Io sono preoccupato. Non pensi che noi israeliani dovremmo avere più coraggio?». Oz: «Guarda, Daniel, io sono convinto che la gente sia rassegnata. Da una parte e dall’altra, sa che il nostro e loro destino è quello di vivere vicini, uno accanto all’altro. Credo che questa consapevolezza sia ormai scontata. Come quando si decide che un paziente è da operare: bisogna tagliare e fare due Stati, che piaccia o no».
Barenboim: «Hai ragione. Ma io penso che ci vorrebbe più coraggio da parte nostra. Dovremmo aprirci di più. Penso che tocchi a noi, lo slancio. Mi sembra come se ci mancasse qualcosa, senza questa volontà, da parte nostra, di fare il primo passo. Aprire, in tutti i sensi». Oz muove le mani. Le accosta, le incrocia: «Con prudenza. Dopo tanto scontro, prima di abbattere le barriere ci vuole pazienza. Bisogna imparare a vivere vicini. Bisogna prima abbattere le paure reciproche». Barenboim ha un eloquio più andante. Ascoltarli insieme è come salire e scendere lungo lo spartito. «Ma la situazione è quella che è. Non mi convince. Tu vedi la reale possibilità che questa classe dirigente faccia dei passi avanti?». Oz: «Daniel, sottovaluti l’effetto sorpresa della storia. Secondo te, se qualcuno avesse detto a Gorbaciov, solo qualche anno prima, tu sarai la glasnost, lui ci avrebbe creduto? E che Sadat sarebbe venuto a Gerusalemme, chi l’avrebbe mai detto? Nemmeno lui, no di certo, fino a poco prima! Chi fa la storia non ne è quasi mai consapevole!». Barenboim: «Hai ragione, hai ragione... speriamo. Ma quando vieni a parlare ai miei ragazzi?».