martedì 29 gennaio 2019

La Stampa 29.1.19
Bebè con tre genitori
Un intreccio tra ricerca di frontieri e inediti problemi etici
Dna manipolato e uteri artificiali La questione è fin dove spingersi

Si moltiplicano le ricerche per creare il primo utero artificiale 2. Terza e quarta età: si trasforma anche il concetto tradizionale di «vecchiaia»
di Nicla Panciera


Trapiantare un utero, modificare geneticamente gameti ed embrioni, far sviluppare un embrione in un utero artificiale e, addirittura, far regredire cellule somatiche per creare gameti, tecnica che potrebbe donare l’autosufficienza riproduttiva. Sia alle donne sia agli uomini. Queste rivoluzionarie possibilità sono destinate a trasformare i concetti di papà e mamma.
Procreazione assistita. In 40 anni, dal primo neonato concepito con la fecondazione in vitro a oggi, i bambini nati grazie a questa tecnica sono oltre 7 milioni, secondo la Società europea di riproduzione umana ed embriologia. L’esecuzione di test genetici pre-impianto consente di individuare difetti e anomalie genetiche e questa possibilità ha spinto alcuni specialisti a ritenere che la procreazione assistita sarà la norma nei concepimenti futuri.
Ma non la pensa così Carlo Alberto Redi, responsabile del Laboratorio di biologia dello sviluppo dell’Università di Pavia e accademico dei Lincei: «Sono troppe le tematiche etiche da risolvere, affinché un simile sistema sia universale. E sono troppe le ineguaglianze messe in campo. Non penso sia auspicabile. Piuttosto, per escludere patologie del nascituro, mi auguro che divenga universale il ricorso alla diagnosi prenatale».
Gameti di laboratorio. Le tecniche di crioconservazione degli ovociti e del tessuto ovarico rispondono alle necessità di chi deve andare incontro a un trattamento chemioterapico che potrebbe danneggiare la fertilità e di chi vuole posticipare una gravidanza. Ma per chi non ha ovuli si va verso una soluzione diversa: la creazione in vitro di gameti funzionanti e geneticamente corretti a partire dalle proprie cellule somatiche, con la tecnica delle cellule staminali. Le applicazioni sono rilevanti e il dibattito sarà complicato, secondo Redi: «In particolare in relazione agli usi non terapeutici». Per esempio il farvi ricorso da parte di individui sterili o infertili per età o scelta sessuale.
Utero esterno. Protagonista del susseguirsi delle nuove tappe della biologia della riproduzione, Carlo Flamigni è uno dei padri della fecondazione assistita. È lui l’autore del primo studio sullo sviluppo di un embrione in un ambiente esterno artificiale, l’«ectogenesi»: ora ricorda come nel 1981 gli editori della rivista «Fertility and Sterility», in una nota al suo lavoro sul primo prototipo di utero artificiale, specificarono che «le problematiche etiche e legali non permetterebbero questa sperimentazione negli Usa».
Il monito non ha arginato la ricerca e oggi si lavora a un utero artificiale: «Quello parziale deve permettere la sopravvivenza di feti nati troppo prematuri, mentre quello totale deve portare a termine l’intero processo di sviluppo di un organismo, a partire dall’impianto di un embrione in un endometrio artificiale». Eppure - conclude il professore - «se queste soluzioni sono in grado di soddisfare l’istinto di procreazione, andrebbe compreso che la gravidanza è qualcosa di ben più complesso», come un corredo di sentimenti, alterazioni fisiologiche e psicologiche che accompagnano i genitori.
Mitocondri donati. La donazione mitocondriale è una tecnica in cui il nucleo con il Dna della cellula uovo della futura madre viene inserito nell’ovulo, privato di nucleo, della donatrice sana. Così si scongiura la trasmissione di malattie metaboliche, provocate da anomalie nei mitocondri, le strutture che forniscono energia alle cellule. Il nascituro avrà il Dna della madre e del padre e, allo stesso tempo, quello mitocondriale della donatrice, che diventa il «terzo genitore».
Ma, se il nuovo nato è una femmina, il Dna mitocondriale senza difetti verrà trasferito alla prole: la trasmissione alle nuove generazioni è proprio l’aspetto problematico delle tecnologie di editing genetico su cellule della linea germinale (su spermatozoi, ovuli o embrioni allo stadio iniziale), come è emerso dal dibattito sulle gemelle cinesi (e altri neonati sarebbero in arrivo), nate da embrioni con Dna modificato attraverso la celebre tecnica Crispr-Cas di «taglia e incolla» genetico. L’editing genetico sui gameti o sull’embrione sarà, forse, una soluzione futura, ma per Redi «oggi è una tecnica estremamente imprecisa». Nulla di paragonabile alle «grossolane tecniche di un tempo - ribadisce Carlo Flamigni - ma non è stata ancora dimostrata la sicurezza per l’uomo».
Chi detta la via. C’è poi la scrittura di un genoma umano ex novo, ci spiega Flamigni, che è membro del Comitato nazionale di bioetica. Per lui la questione principale è ancora un’altra: sta a monte di ogni riflessione sulle applicazioni delle innovazioni biomediche e della loro liceità e a cavallo tra morale, scienza, diritto e politica. «Bisogna chiedersi quante persone beneficeranno di queste soluzioni e chi ne ha espresso il bisogno. Chi finanzia e chi stabilisce le priorità nella ricerca? È evidente che quelli affrontati non sono i bisogni più urgenti della popolazione, ma di pochi privilegiati. Seguiamo le istruzioni di una minoranza e ci asteniamo dall’interrogare i diretti interessati».
L’idea di un «consenso sociale informato», che fa riferimento al diritto non solo di trarre benefici dal progresso scientifico, ma anche al diritto-dovere di parteciparvi attivamente, è recente, dice Flamigni: «Solo tre anni fa è nata un’organizzazione dell’Onu dedicata alla promozione di tale diritto alla scienza, “The international institute for the human right to science”». Intanto, a guidare le incredibili capacità della ricerca biomedica, «dovrebbero essere «la compassione, per chi soffre veramente, e il buon senso, per non fare nulla di dettato dalla fretta e dalla competizione, di cui potremmo non prevedere conseguenze disastrose».
C’è, infine, il bisogno di una riflessione sulla terminologia da utilizzare, come «sintetico» oppure «artificiale»: il linguaggio sarà determinante nell’influenzare il dibattito collettivo.