lunedì 28 gennaio 2019

La Stampa 28.1.19
La “sindrome diciannovista” in un mondo smarrito
Dall’Italia all’Europa la violenza diffusa dalla guerra capitalizzata dalle destre
di Giovanni De Luna


Il 1919 propose al mondo una cronologia fitta di eventi, tutti all’insegna di una violenza politica irrefrenabile, seduttiva, eccessiva. Ed è quella violenza totalmente dispiegata a rendere (per ora) improponibili i richiami al diciannovismo che affollano le analisi sui sovranismi e i populismi di oggi. Allora c’era stata la guerra e la sua fine aveva visto crollare tutti i riferimenti politici, sociali, culturali del vecchio ordine ottocentesco. Era come se si fosse spalancato un immenso cratere in cui scomparvero imperi plurisecolari (la Russia zarista, l’Impero ottomano, l’Austria-Ungheria, la stessa Cina), forme di organizzazione politica e statuale, modi di vivere.
Focolai di rivolta si accesero così ovunque ci fossero reduci restii a deporre le armi, un’utopia rivoluzionaria a incendiare gli animi, un demagogo pronto a inebriare le masse. Inoltre, un nuovo soggetto aveva fatto irruzione nel sistema politico internazionale, uno Stato, la Russia comunista, che deliberatamente si poneva come obiettivo il suo rovesciamento violento. E intorno alla bandiere rosse che sventolavano sul Cremino si raccolsero allora gli slanci rivoluzionari delle masse che il Novecento aveva scaraventato come protagoniste della storia.
Il rischio del contagio bolscevico è, in questo senso, una specificità assoluta di quell’anno, che non trova nessun riscontro nella realtà dell’Europa di oggi, a meno che non si pensi all’Ungheria di Orban o all’Italia di Salvini come possibili modelli da proporre su scala internazionale.
Nell’Ungheria di allora, ad esempio, nel marzo 1919 i comunisti guidati da Béla Kun instaurarono una repubblica sul modello sovietico. L’esperimento durò pochi mesi e fu stroncato (già in agosto); il potere fu assunto dall’ammiraglio Horthy, che governò il Paese con durezza, dando vita un regime fascistoide. Anche a Vienna, nel giugno 1919, ci furono tentativi insurrezionali subito repressi. In Germania, l’altra grande potenza sconfitta, si affermò l’organizzazione rivoluzionaria Lega di Spartaco (Spartakusbund), fondata nel 1917 da Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg e trasformatasi poi in Partito comunista tedesco; nel gennaio del 1919, a Berlino, un suo moto rivoluzionario fu soffocato nel sangue. Due mesi dopo ce ne fu uno analogo, a Monaco, rovinosamente fallito.
Il 15 gennaio 1919, Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg furono assassinati dai Freikorps ( i «corpi franchi», formazioni illegali che praticavano abitualmente l’omicidio degli avversari politici) ai quali il socialdemocratico Noske aveva affidato il compito di mantenere l’ordine a Berlino: si consumò la definitiva rottura tra le due principali componenti della sinistra (i socialdemocratici e i comunisti), che avrebbe pagato a caro prezzo la sua incapacità di mantenersi unita. In Italia la prorompente vittoria elettorale dei socialisti e dei cattolici, alle elezioni del novembre 1919, lasciò intravedere la possibilità che la crisi dello Stato liberale potesse avere un esito compiutamente democratico, nonostante le impazienze estremistiche dei comunisti e dei massimalisti.
In realtà, nessuno di questi slanci rivoluzionari ebbe un esito vittorioso e in generale si ripetè quello che successe in Ungheria. Nel 1922 in Italia si installò la dittatura di Benito Mussolini. In Germania, prima dell’irresistibile ascesa del nazismo, l’agonia della repubblica di Weimar si consumò all’insegna di un terrorismo di destra sempre più violento: in quegli anni furono assassinati oltre 350 persone, tra cui il ministro degli esteri Walter Rathenau (ucciso il 14 giugno 1922), mentre si registrarono anche due tentativi di colpi di Stato, quello del generale von Luttwitz e di Wolfgang Kapp (un alto funzionario prussiano), a Berlino, nel 1920, e quello di Monaco (che segnò il debutto sulla scena politica di Adolf Hitler), l’8 novembre 1923.
Gli incendi bolscevichi appiccati in quel 1919 si rivelarono fuochi di paglia e, in tempi brevissimi, a capitalizzare la violenza diffusa dalla guerra, facendone una risorsa strategica per sbaragliare le sinistre, furono i regimi fascisti o comunque di destra. In Europa, tra le grandi potenze, solo la Francia e la Gran Bretagna mantennero un sistema politico democratico. In ogni caso, l’eccesso di violenza sprigionatosi dalle trincee e inoculato dalla guerra nelle viscere profonde della società europea produsse ovunque effetti anche non immediatamente riconducibili alla politica. Ed è questo che fa sembrare irripetibile «quel» 1919.
Una fortunata serie su Netflix ha oggi indicato nella ferocia respirata in guerra la matrice del successo dei gangster di Birmingham, tutti reduci dalle trincee, i «peaky blinders». E perfino dall’altra parte dell’oceano, la stessa società americana fu attraversata da agitazioni sociali e manifestazioni di intolleranza. I movimenti rivoluzionari che agitavano l’Europa erano stati avvertiti come una pericolosa minaccia; tra il 1918 e il 1919, la «red scare», la paura rossa, attanagliò un’opinione pubblica disorientata, emotivamente instabile. Il sospetto e il rancore circondavano gli stranieri - soprattutto gli Slavi - visti come possibili agenti del comunismo russo. Il Paese sembrava volersi chiudere in sé stesso, spezzando lo slancio solidaristico verso l’Europa che aveva portato i suoi ragazzi a immolarsi sulle colline delle Ardenne, in una guerra lontana. Nel 1919 il Congresso rifiutò sia i trattati di Versailles, sia la Società delle Nazioni, l’istituzione che Wilson aveva sognato come il luogo in cui coltivare gli ideali della pace e della democrazia.
Di fatto, il nesso tra la distruttività della guerra e il 1919 era strettissimo; e le dimensioni catastrofiche assunte dalla violenza bellica non potevano certo essere affrontate all’insegna dei vecchi parametri geopolitici ottocenteschi. Fu quello che tentò di fare la conferenza di pace di Versailles, che si aprì proprio in quell’anno. Dal suo inevitabile fallimento ebbero origine trent’anni di conflitti mondiali, ininterrottamente fino al 1945.