La Stampa 26.1.19
Nel giorno del giudizio pochi rischi per Matteo
di Marcello Sorgi
Il
giorno del giudizio è fissato per mercoledì 30 gennaio, quando il
Senato si riunirà per discutere e votare sulla richiesta di
autorizzazione a procedere contro Salvini, per il comportamento tenuto
ad agosto 2018 verso i naufraghi della nave Diciotti. Ma
nell’approssimarsi della scadenza, la baldanza iniziale del vicepremier e
leader della Lega ha lasciato spazio a una maggiore prudenza. Salvini
non punta più a farsi processare per far crescere anche a scopo
propagandistico il caso che lo riguarda, esasperando la linea dura
contro i migranti condivisa dai suoi elettori. Preferisce che i senatori
dicano «no» al Tribunale dei ministri, concedendogli l’immunità e
accettando implicitamente la sua posizione, che nega ai magistrati il
diritto di censurare le scelte del governo.
Pur trattandosi di un
voto segreto, come sempre sono tradizionalmente quelli che riguardano le
persone, i rischi per il ministro dell’Interno sono molto limitati.
Scontato, anzi blindato il «no» della Lega. Altrettanto, pur con qualche
possibile defezione, quello del Movimento 5 stelle, che non vorrà certo
compromettere la stabilità del governo o trovarsi sulla sponda
pro-migranti, dopo che giovedì Di Maio era stato il primo a chiedere che
la nave Sea Watch con il suo carico di 47 migranti di cui 13 minori
(attualmente alla fonda a un miglio dal porto di Siracusa per le
proibitive condizioni meteo) facesse rotta su Marsiglia. Sicuro il
«soccorso azzurro» di Forza Italia, per solidarietà anti-magistrati. E
così quello di Fratelli d’Italia, in trattativa per entrare al governo.
Invece punto interrogativo sul Pd, al Senato a forte dominio renziano:
votare «sì» in odio a Salvini, giocandosi il faticoso e tormentato
approdo alle posizioni garantiste e schierandosi a favore dei migranti
offrendo il fianco alla propaganda dei gialllo-verdi? E d’altra parte,
come giustificare un eventuale ma improbabile «no»? Più probabile
durezza nel dibattito a Palazzo Madama nei confronti del ministro, e poi
salomonica uscita dall’aula. Ma appunto, a conti fatti, pur prevedendo
un ragionevole numero di franchi tiratori anche per antipatie personali
nei confronti di Salvini, il risultato finale è praticamente garantito.