il manifesto 26.1.19
La richiesta di rinvio a giudizio di Salvini
La questione giudiziaria e quella morale
di Antonio Gibelli
La
richiesta di rinvio a giudizio di Salvini da parte del Tribunale dei
ministri ha puntualmente innescato, come per un riflesso condizionato,
l’annosa diatriba sul tema «a chi giova» e quella parallela sui rapporti
tra giustizia e politica. È una diatriba che registrò un’impennata nel
1994 (quando a pochi mesi dal suo insediamento il capo del governo
Berlusconi ricevette il famoso avviso di garanzia), divenendo pressoché
endemica per tutta l’epoca in cui il padrone della Fininvest è stato al
centro della politica italiana, ma riproponendosi periodicamente anche
dopo.
Niente di male che ci si domandi se e come una vicenda
giudiziaria influisca sulla vita politica. Per fare un esempio, il
quesito intorno agli effetti della vicenda di Tangentopoli sulla storia
politica italiana è non solo legittimo ma del tutto pertinente. Il
problema nasce quando si sottintende che le iniziative della
magistratura siano in tali casi mosse precisamente dall’intenzione di
esercitare in un senso o nell’altro questa influenza, cosa che può
essere talvolta vera ma non lo è automaticamente. Ancora peggio quando
se ne fa discendere il corollario (esplicito o implicito) che i
magistrati farebbero bene ad astenersi dall’intraprendere azioni di
questo tipo, e ciò allo scopo esattamente opposto di evitare questa
influenza: un corollario aberrante, che dimentica l’obbligatorietà
dell’azione penale vigente in Italia e che suggerisce al giudice di fare
proprio quello che gli si rimprovera: ossia di muoversi in funzione non
della legge ma delle dinamiche politiche.
Tutt’altra cosa –
questa sì condivisibile – è la critica rivolta alle forze politiche che
si affidino all’azione giudiziaria delegando ad essa il compito di
metter fuori gioco i loro avversari: che è in effetti quantomeno
un’ammissione di impotenza.
Resta invece legittimo discutere
politicamente e moralmente sulla natura degli atti compiuti da uomini di
governo anche nei termini della loro eventuale valenza criminale, pur
rimettendosi su questo punto agli esiti dell’azione penale ma sempre
ricordando – come da qualche tempo si sforza con sofferenza di far
capire Massimo Cacciari – che esiste una legge umana universale al di
sopra del diritto positivo.
Nel caso in questione, è drammatico
che la decisione del tribunale sia destinata a potenziare il profilo di
Salvini come uomo forte, a espandere il suo consenso e a giovargli nella
contesa elettorale tra lui e il suo partner di governo. Ciò non
impedisce di dire che il ministro stia commettendo un crimine contro
l’umanità, nel senso sostanziale se non tecnico: come chiamare
altrimenti il prolungamento delle sofferenze, anche solo dei disagi, di
persone in fuga dalla povertà, dalle torture, dalle vessazioni di ogni
tipo, già esposte al rischio della vita propria e dei propri figli anche
piccoli, talvolta neonati e quindi più fragili, impedendo loro di
raggiungere presto, subito, una meta sicura a portata di mano o (come i
altri casi) lasciando aperta la possibilità che siano ricondotte là da
dove sono fuggite per salvarsi? E cosa dire se questo prolungamento è
fatto allo scopo di esercitare una pressione politica su altri stati
europei? Non assomiglia tutto ciò a un sequestro di persona a scopo di
ricatto?
È esattamente questo che è accaduto nel caso della
Diciotti ed è questo che sta nuovamente accadendo sotto i nostri occhi.
Chi conosce il mare sa cosa significa la classificazione di “forza 7”
nella scala Beufort che va da 0 (mare calmo) a 12 (uragano). Chi
consulta il meteo sa che in questi giorni il Mediterraneo e i mari
italiani sono battuti da venti forti o fortissimi. La Sea Watch sta
cercando un riparo, si avvicina alle coste sottovento per evitare il
peggio, si dirige verso aree portuali nella speranza di approdare.
Intimarle di dirigersi a Marsiglia mentre si trova nel mare di Sicilia
orientale significa costringerla a un’operazione carica di incognite, di
rischi e di ulteriori sofferenze e paure.
Sì, diciamo che Salvini
sta commettendo un crimine, quali che siano le sue motivazioni:
compresa quella di proteggere gli italiani da un’inesistente minaccia.