La Stampa 25.1.19
Il caso Diciotti evidenzia i limiti dei poteri che un ministro può esercitare
di Ugo De Siervo
Diversamente
da come era stato largamente diffuso nell’opinione pubblica dopo la
diversa opinione espressa dal Procuratore della Repubblica di Catania,
lo speciale collegio giudiziario competente in materia di reati
ministeriali ha trasmesso al Senato la richiesta di sottoporre il
senatore Salvini al processo penale scaturito dalla nota vicenda della
nave Diciotti. Come si ricorderà, si imputa al ministro - tra l’altro -
di aver trattenuto nella nave, ormai ormeggiata nel porto di Catania e
quindi nel territorio nazionale, un numeroso gruppo di migranti senza
farli scendere a terra per tutti i vari controlli di polizia e le
diverse forme di assistenza sanitaria e sociale, nonché per la
presentazione delle diverse domande di accoglienza; ciò senza che alcuna
legge preveda e disciplini un potere ministeriale del genere. Vi
sarebbe stata, in altri termini, una vistosa e prolungata limitazione
della libertà personale, in violazione del principio di legalità, uno
dei grandi principi degli Stati democratici contemporanei, secondo il
quale gli organi amministrativi e di governo possono limitare le libertà
solo se e nella misura in cui il legislatore lo abbia previamente
previsto e disciplinato.
Naturalmente il ministro ha dato tutt’altra
rappresentazione della attuale situazione, sostanzialmente cercando di
denigrare i giudici ed il loro lavoro e di giustificare il suo
comportamento in nome della sua ben nota assoluta opposizione ai flussi
migratori transmediterranei (ma a tutti gli altri, assai più numerosi,
come si sta reagendo?). Addirittura ora si è riferito, come norma che
egli avrebbe tutelato con la sua azione, al dovere di difesa della
Patria (di cui all’art. 52 della Costituzione), che in realtà si
riferisce invece a tutt’altra cosa e cioè alla difesa armata del Paese e
non certo all’adempimento delle importanti funzioni che un ministro
della Repubblica deve garantire, ma nel pieno rispetto delle leggi,
specie là dove sono in gioco le libertà delle persone.
Ora si apre
una nuova fase, che sarà molto significativa anche sul piano politico
perché il Senato deve rapidamente concedere all’autorità giudiziaria
ordinaria competente l’autorizzazione a procedere nei confronti del
ministro; ma la legge costituzionale del 1989 prevede pure che, a
maggioranza assoluta, la Camera di appartenenza del ministro possa anche
negarla, ove ritenga che l’inquisito abbia agito «per la tutela di un
interesse dello Stato costituzionalmente rilevante, ovvero per il
perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della
funzione di governo».
A questo proposito, alcuni mesi fa il ministro
Salvini più volte si era dichiarato assolutamente contrario a utilizzare
una scappatoia del genere e dichiarava in modo perentorio di voler
semmai eventualmente affrontare il processo senza appellarsi ad un
arcaico e vistoso privilegio del vertice della classe politica
dirigente, ma ora invece - a seguire le eccitate e demagogiche
dichiarazioni da lui diffuse via Internet - sembra che abbia
radicalmente cambiato idea: infatti parla della decisione del Senato
come di una decisione sul merito della questione (lì si deciderebbe se è
colpevole o innocente) e chiaramente fa intendere che i senatori del
suo partito saranno decisamente impegnati per far negare
l’autorizzazione.
Come era immaginabile, il modo semplicistico di
esercitare i poteri ministeriali sta portando a confondere in modo grave
i poteri che i vertici ministeriali possono e devono esercitare, con il
mutamento e con l’arricchimento dei loro poteri, che dipendono dalle
modificazioni legislative, da conseguire nelle sedi proprie e cioè nei
liberi confronti parlamentari.