La Stampa 25.1.19
L’ex ministro ed ex presidente della Corte Costituzionale, Giovanni Maria Flick
“Spetta alla politica valutare se il ministro ha difeso l’interesse nazionale o meno”
di Francesco Grignetti
Diceva
qualche tempo fa, l’ex ministro ed ex presidente della Corte
Costituzionale, Giovanni Maria Flick, mai tenero nei confronti di Matteo
Salvini: «Il principio della separazione dei poteri non è un
passepartout per commettere reati». E ora che pensa, il professor Flick,
di questa richiesta del tribunale dei ministri di Catania?
«Che
la legge è chiara, e anche logica: se il ministro ha commesso un reato,
abusando dei suoi poteri, lo dovrà stabilire la magistratura ordinaria.
Perché nessuno, neanche un ministro, è superiore alla legge. Allo stesso
tempo, c’è una garanzia assoluta per i ministri, l’ultima forma di
autorizzazione a procedere che è rimasta nell’ordinamento: spetta al
Parlamento valutare se vi sia stata una “tutela dell’interesse
costituzionalmente rilevante” oppure un “perseguimento del preminente
interesse nazionale”. Nessun automatismo, come vede, né in un senso, né
nell’altro».
Ecco, parliamo di questa sfera che è quella
dell’interesse «costituzionalmente rilevante» e del «preminente
interesse nazionale», ciò che banalmente definiamo «prerogative»
dell’Esecutivo?
«Attenzione, piano con le parole: non è la generica
attività politica che viene esentata dal rispetto della legge.
Altrimenti ci salvi Iddio. Qui parliamo dei cosiddetti reati
ministeriali, ovvero reati commessi da ministri nell’esercizio delle
loro funzioni. Fino al 1989, sarebbe stata la Corte Costituzionale a
procedere ed eventualmente processare il ministro imputato. Unico caso
che si ricordi, la Lockheed. Dopo il 1989, si è fatta una profonda
riforma e adesso il giudizio su un eventuale reato spetta alla
magistratura ordinaria. Il Parlamento però può e deve fare una
valutazione politica se l'atto in questione non sia stato giustificato
per le ragioni di cui sopra».
La vecchia famigerata autorizzazione a procedere?
«Dico
che sarebbe un errore che una onnipotente magistratura entri nel merito
politico dell’atto così come, all’opposto, sarebbe sbagliato se il
Parlamento volesse entrare nel merito penale e rubare il mestiere al
giudice. Il Parlamento deve esaminare l’atto e se del caso interrompere
il percorso giudiziario qualora ritenga che il ministro si è mosso
secondo uno di quei due motivi di cui sopra».
C’è un evidente
contrasto tra procura e tribunale a Catania: per la prima, Salvini ha
fatto un legittimo uso dei suoi poteri; per il secondo potrebbe esservi
un abuso. È tutto qui?
«L’atto in sé è chiaro, e addirittura
rivendicato. Dico subito che non siamo noi, tantomeno le rispettive
tifoserie, a dover decidere se fu uso legittimo o abuso dei poteri. C’è
per questo la magistratura».
Il tribunale richiama anche l’esistenza di convenzioni internazionali e di leggi conseguenti. Quanto pesano?
«Nel
nostro caso, limitatamente a quanto le leggi italiane hanno recepito le
convenzioni. D’altra parte il tribunale ha motivato le ragioni per cui
ritiene di non archiviare e rinvia gli atti al Parlamento per la sua
valutazione. Ma c’è anche una premessa costituzionale: non ci può essere
restrizione della libertà personale se non autorizzata dall’autorità
giudiziaria».
In conclusione, lei che voterebbe?
«Per fortuna non sono parlamentare e sono ben contento di non avere questa responsabilità».