La Stampa 24.1.19
La Cgil di Landini: più unitaria più progressista e più anti-governo
di Fabio Martini
Alla
Fiera del Levante di Bari si è appena conclusa una lunga notte di
trattative e di psicodrammi, l’accordo è stato raggiunto - Maurizio
Landini farà il segretario della Cgil e Vincenzo Colla sarà il suo vice -
e in un corridoio si incontrano casualmente i due ex operai emiliani
che dovevano scontrarsi e che hanno fatto la pace in zona Cesarini.
Landini - che è di Reggio e ha un anno in più del piacentino Colla - si
rivolge al suo futuro vice, gli dice «grazie per aver cercato un’intesa»
e lo abbraccia. In quel momento non c’è nessuno a scattare la foto
della famiglia ritrovata e oggi il patto tra il nuovo segretario e il
suo vice sarà suggellato da un abbraccio in pubblico, in occasione
dell’intervento al congresso di Colla.
Un happy-end che sta dentro
le corde di un sindacato, la Cgil, che per oltre un secolo è stata la
casa comune della sinistra italiana e che ha sempre vissuto la divisione
interna come un male assoluto. Ma ora che la sinistra politica è al
minimo storico, frammentata come mai, il segnale più potente che arriva
da Bari al Pd e agli altri segmenti è proprio questo: la Cgil resta un
modello di unità.
Che Cgil sarà? Lo comincerà a dire questa
mattina Maurizio Landini nell’intervento nel quale annuncerà ai delegati
di essere l’unico candidato alla segreteria. Un discorso attesissimo,
anzitutto perché negli ultimi mesi l’ex leader dei metalmeccanici si è
letteralmente inabissato: negli ultimi mesi ha rilasciato due sole
interviste, una strategia del silenzio, volta a stemperare il ricordo
del Landini movimentista e che si è rivelata vincente.
Per anni
capo della opposizione e di sinistra a Susanna Camusso (non l’aveva
neppure votata come segretaria), dopo aver caldeggiato una «coalizione
sociale» coagulo di tutti i segmenti a sinistra del Pd, da due anni -
con l’appossimarsi del congresso Cgil - Landini si è via via
«normalizzato», a cominciare dalla firma nel 2016 del contratto dei
metalmeccanici, assieme a Fim-Cisl e Uilm-Uil, evento che non accadeva
da sei anni. Non ha più indossato la felpa della Fiom, ha diradato le
presenze nei talk show. Ma non devono essersi esaurite le
caratteristiche che gli avevano fatto scalare le classifiche della
popolarità: la grinta, la spontaneità popolare del suo eloquio e un
carisma speciale nel raccogliere e canalizzare il dissenso
E in
queste ore, al congresso di Bari, tra i suoi sostenitori meno
movimentisti, circola una speranza; che anche Landini possa essere
attraversato da quella «grazia di Stato» che ha letteralmente
trasformato alcuni dei più grandi leader della Cgil. Quei milioni di
lavoratori alle spalle hanno spinto il comunista Giuseppe Di Vittorio
(pur isolato dal Pci) a condannare l’invasione sovietica dell’Ungheria,
un altro comunista come Bruno Trentin a firmare per senso di
responsabilità le dure intese del 1992 e il «destro» Sergio Cofferati a
promuovere la più grande manifestazione di sinistra del Dopoguerra.
La
Cgil di Landini si preannuncia più «progressista» (tra i grandi
elettori dell’ultima ora del nuovo leader ci sono i pensionati, la
categoria politicamente più tradizionalista): si annuncia più unitaria
con Cisl e Uil (lo ha preannunciato Camusso) e più anti-governativa di
quella degli ultimi mesi. Lo ha detto Landini stesso in una intervista
di pochi giorni fa e anche su questo l’apripista è stato lo sfidante
Colla. Ma con una riserva mentale. Subito dopo le elezioni del 4 marzo
2018, la Cgil si era posta in stand-by rispetto al governo anche sulla
scorta di una ricerca tra gli iscritti: tra i tesserati il Pd è ancora
il primo partito (lo ha votato il 35%), a LeU è andato il 10%, Cinque
Stelle (33%) e Lega (10%) sommano una percentuale del 43%..