martedì 22 gennaio 2019

La Stampa 22.1.19
Israele colpisce i Pasdaran in Siria: cacceremo l’Iran
Dopo i missili delle milizie sciite sul Golan scatta il raid Netanyahu: chiunque ci minaccia pagherà le conseguenze
di Giordano Stabile


La battaglia aerea fra Israele e Iran in Siria si gioca per la prima volta a viso aperto, con lo Stato ebraico che rivendica gli ultimi raid come mai ha fatto prima e illustra le operazioni con tweet, foto e filmati per dimostrare che è in grado di contrastare i Pasdaran fino alle porte di Damasco, e che il prossimo ritiro americano dal territorio siriano non pregiudicherà la sua volontà di impedire «il radicamento iraniano» a poche decine di chilometri dalle sue frontiere.
L’ultimo scambio fra le due potenze regionali in lotta si articola fra domenica e l’alba di ieri. Prima «da sei a otto missili» vengono lanciati a Sud della capitale, diretti verso la base di Kiswah. Parte degli ordigni sono intercettati e sembra finita lì. Ma nel pomeriggio milizie sciite, o gli stessi Pasdaran, lanciano razzi e missili verso il Golan. Uno viene abbattuto dal sistema Iron Dome di fronte al Monte Hermon e filmato persino da alcuni sciatori. Poco prima dell’alba di ieri scatta la rappresaglia dei cacciabombardieri con la Stella di David, con almeno «tre ondate di missili e bombe teleguidate», su basi iraniane e depositi all’aeroporto internazionale di Damasco.
Le difese vengono attivate con tutta la loro forza. Trenta ordigni, secondo i comandi militari russi, sono «abbattuti». La reazione allarga ancor più il conflitto. Gli israeliani, come hanno poi precisato in un comunicato ufficiale, avevano preavvisato i siriani di non «interferire». A questo punto prendono di mira anche le batterie anti-aeree. Almeno due, compresa una di moderni Pantsir S-1, sono distrutte. Le stesse forze armate israeliane mostrano i filmati, registrati da telecamere montate sulle bombe, dei mezzi disintegrati dalle esplosioni. In questa fase almeno quattro militari siriani rimangono uccisi, mentre il bilancio complessivo, secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, è di undici vittime, alcune civili, forse anche consiglieri militari iraniani.
Ma è soprattutto la comunicazione israeliana a colpire. Per anni, per lo meno dal 2013, jet e missili terra-terra hanno preso di mira postazioni Hezbollah, convogli di armi, poi basi con presenza di Pasdaran delle forze d’élite Al-Quds. Israele non ha mai negato né confermato, fino all’abbattimento di un suo F-16 il 10 febbraio 2018. Dopodiché, prima l’ex ministro della Difesa Avigdor Lieberman e poi il premier Benjamin Netanyahu hanno ammesso che «centinaia» di raid erano stati compiuti. Ora però il nuovo capo delle Forze armate Aviv Kochavi parla di «migliaia» di obiettivi colpiti e tutto viene pubblicizzato come ai tempi dell’operazione americana Tempesta nel Deserto in Iraq. Il messaggio all’Iran è chiaro. Anche se gli Usa si ritirano, gli ayatollah non avranno campo libero in Siria.
La replica arriva dal comandante delle Forze aeree iraniane, generale Aziz Nasirzadeh, che assicura come «le attuali e future generazioni di piloti sono impazienti e pronte a combattere Israele per cancellarlo dalla faccia della Terra».
Alla provocazione risponde Benjamin Netanyahu. Colpiremo, ribatte, «chiunque cerchi di farci del male, chiunque minacci di eliminarci ne pagherà le conseguenze». Analisti israeliani, come Anshel Pfeffer, notano però il «disinteresse» americano, mentre la Russia non va oltre il plauso all’efficacia dei sistemi anti-aerei, tutta da verificare. Mosca, nonostante abbia fornito a Damasco i più potenti S-300, evita di usarli per non innescare una escalation incontrollabile.
A complicare ancora di più lo scenario è il fronte iracheno. L’Intelligence occidentale ha notato nell’autunno scorso lavori per costruire rampe di lancio per missili a media-lunga gittata vicino a Baghdad. Già nel 1991 Saddam Hussein riuscì a raggiungere Israele con i suoi Scud posizionati nella parte occidentale del Paese e ora Teheran dispone di missili più sofisticati, come gli ultimi Zulfiqar, con una portata di 700 chilometri.
Questi ordigni sono stati testati dall’Iran contro obiettivi dell’Isis in Siria, lo scorso novembre. Dall’Iraq potrebbero raggiungere lo Stato ebraico. In più, se l’Iran ha la possibilità di colpire il territorio israeliano, Israele non ha la stessa libertà d’azione, perché lo spazio aereo attorno alla Repubblica islamica è controllato dagli Stati Uniti ed eventuali raid dovrebbero essere coordinati e concordati con Washington.