il manifesto 22.1.19
Israele e Iran, rotta di collisione in Siria. La guerra è più vicina
Medio
Oriente. Sarebbero almeno 11 i morti provocati dai bombardamenti
israeliani su presunte postazioni iraniane nei pressi di Damasco.
Netanyahu ribadisce diritto all'autodifesa dopo le dichiarazioni del
capo dell'aviazione iraniana su preparativi in corso per la distruzione
di Israele
di Michele Giorgio
GERUSALEMME
Sorvolavano il Libano, quasi sulla testa dei rappresentanti dei Paesi
arabi che avevano appena lasciato la sede del vertice economico di
Beirut, i cacciabombardieri israeliani che nella notte tra domenica e
lunedì hanno lanciato un nuovo pesante attacco contro la Siria, ancora
una volta nei pressi di Damasco e del suo aeroporto. Una concomitanza
che in qualche modo sottolinea le divisioni profonde esistenti sulla
Siria alleata dell’Iran tra i paesi arabi, alcuni dei quali a metà
febbraio parteciperanno alla conferenza sulla “sicurezza” in Medio
oriente che l’Amministrazione Trump sta organizzando a Varsavia per
creare un’alleanza politica, economica e militare contro Tehran la
cosiddetta “Nato araba”.
La pioggia di missili israeliani che,
secondo fonti legate all’opposizione siriana, domenica notte si è
abbattuta su postazioni e depositi di munizioni della milizia iraniana
al Quds, facendo 11 morti – Damasco sostiene di aver fermato con la sua
difesa antiaerea buona parte dell’attacco e altrettanto afferma la
Russia alleata della Siria – è solo un anticipo di ciò che vedremo nelle
prossime settimane. Sono state musica per le orecchie del premier
israeliano Netanyahu le dichiarazioni fatte dal comandante
dell’aviazione iraniana sulla preparazione della Repubblica islamica
all’eliminazione di Israele e dei «nemici sionisti». Parole simili
quelle pronunciate tante volte in questi anni da esponenti politici e
militari iraniani ad evidente scopo di propaganda interna ma hanno
generato una immediata ondata di solidarietà dei politici europei,
italiani in testa, nei confronti di Israele. Alcuni di questi hanno
parlato di «legittimo diritto all’autodifesa» per lo Stato ebraico,
avallando una nota teoria: Israele bombarda in continuazione in Siria al
solo scopo di difendersi.
Dall’Africa, dove ha riallacciato le
relazioni con il Ciad, Netanyahu è stato perentorio: «Non possiamo
ignorare le esplicite dichiarazioni di Teheran sulla sua intenzione di
distruggerci così come sostenuto dal comandante dell’aviazione
iraniana…non consentiremo il radicamento dell’Iran in Siria». «Chi cerca
di colpirci, noi lo colpiamo. Chi minaccia di distruggerci – ha
concluso – subirà le conseguenze». Israele ha compiuto centinaia di
attacchi in Siria. E i raid proseguiranno intensi nel corso della
campagna per le elezioni politiche del 9 aprile, durante la quale le
forze di governo, con Netanyahu in testa, adotteranno un approccio
persino più duro nei confronti dell’Iran e dei suoi alleati, forti del
sostegno dell’Amministrazione Trump.
La mano pesante Netanyahu
intende usarla in vista anche della conferenza internazionale incentrata
sul Medio oriente annunciata lo scorso 11 gennaio dal segretario di
Stato Usa, Michael Pompeo in un’intervista rilasciata alla Fox News.
L’incontro in realtà non affronterà le varie crisi mediorientali. Il
tema sarà pressoché unico: la “minaccia iraniana”. Si terrà a Varsavia
il 13-14 febbraio a livello di ministri degli esteri e sono stati
invitati i rappresentanti di 70 paesi, alcuni dei quali arabi, in
particolare le monarchie sunnite schierate contro Tehran e alleate di
Washington. Accanto a loro troverà posto Netanyahu, a rappresentare
quell’alleanza dietro le quinte (e neanche più tanto) tra alcuni paesi
arabi, con in testa l’Arabia saudita, e lo Stato ebraico in funzione
anti-Iran di cui Netanyahu parla da almeno tre anni. Della “Nato araba”,
alla quale Pompeo spera di dare vita, Israele ovviamente non può far
parte in via ufficiale. Tuttavia considerati l’enorme interesse nella
questione e le capacità belliche di Tel Aviv è evidente che Netanyahu
può garantire, assieme a Donald Trump, la copertura militare esterna di
cui i petromonarchi necessitano se e quando andranno alla guerra contro
l’Iran.
Tra gli obiettivi sotto traccia della conferenza voluta
dagli americani ci sono il ridimensionamento del peso di Mosca in Medio
oriente – non sorprende che la Russia abbia annunciato che non vi
prenderà parte – e spaccare la fragile unità dell’Unione europea sulla
difesa dell’accordo internazionale sul nucleare iraniano siglato nel
2015. Accordo dal quale lo scorso maggio Trump è uscito annunciando la
ripresa delle sanzioni Usa contro Tehran e i paesi che continueranno ad
avere rapporti con l’Iran. Alla conferenza non sarà presente l’Alto
rappresentante della politica estera, Federica Mogherini, che facendo
irritare Trump e Netanyahu è stata fautrice del meccanismo per aggirare,
almeno in parte, le sanzioni Usa contro Tehran. Tuttavia il fronte
europeo non è blindato. La convocazione a Varsavia della conferenza è
indicativa del tentativo dell’Amministrazione Usa di mettere gli europei
gli uni contro gli altri, con i paesi dell’Est, più vicini di quelli
occidentali alla linea di Trump e di Netanyahu di scontro duro con
l’Iran.