La Stampa 22.1.19
Davos, il summit dei miliardari assediato dalle disuguaglianze
di Marco Zatterin
Sulla
passeggiata ghiacciata e scivolosa che taglia in due il centro di Davos
questa settimana potrà capitare di incrociare gente come Stephen
Schwarzman, il capitano brizzolato del Gruppo Blackstone, un uomo da 12
miliardi di dollari, più ricco di tutta la Sierra Leone che, per inciso,
ha sei milioni di abitanti. Meno facile, ma sempre possibile,
incontrare Bill Gates, che pure sarà in città col peso del suo genio e
di una fortuna da 94 miliardi, ovvero Macedonia, Brunei e Zimbabwe messi
insieme. Vengono al World Economic Forum, loro come tremila altri, per
partecipare alla missione «di migliorare lo stato del pianeta» che, con
ogni evidenza, sinora è fallita. Perché negli ultimi dieci anni di crisi
globale il patrimonio dei miliardari si è triplicato. Mentre il reddito
della metà più povera del pianeta si è ridotto di un decimo. Notizia
tremenda, sia chiaro.
L’organizzazione britannica Oxfam l’ha
buttata sul tavolo del vertice della globalizzazione con un’energia
forse amplificata dall’avere qualcosa da farsi perdonare, dando un
calcio al circo di cervelli e capitali al quale i delegati accedono
pagando assegni da parecchi zeri. Il rapporto sui poveri sempre più
poveri, e i ricchi sempre più ricchi, è un urlo di rabbia contro le
diseguaglianze che crescono e giocano contro la già precaria stabilità
del genere umano. Sono cifre spaventose. Rivelano che a metà dello
scorso anno l’uno per cento dei più abbienti era titolare del 47,2%
della ricchezza aggregata della Terra. Mentre 3,8 miliardi di uomini e
donne, circa metà delle genti in vita, ne detenevano appena lo 0,4%
cento.
Facile contestare la kermesse svizzera, davanti a questi
numeri. Le idee del Forum sono superate, attacca il politologo americano
Francis Fukuyama, per il quale Davos «sta diventando meno influente».
Nota l’autore de «La fine della Storia» che oggi in «ogni paese vi è una
classe di oligarchi, persone che stanno enormemente bene, e molti di
loro si incontrano questa settimana a Davos». Il presidente del Wef,
Borge Brende, ammette che «la crescita globale rallenta, ci sono diverse
nubi oscure all’orizzonte», con l’aggravante di scorgere sempre
maggiori «distorsioni geopolitiche che avvelenano il mondo». Difende il
summit, naturalmente. Bisogna incontrarsi per identificare ricette
comuni, è lo slogan a cui dare un contenuto.
«Riforma
impossibile», scuote la testa Mario Siniscalco, vicepresidente di Morgan
Stanley. Molto semplicemente «non possono essere loro, quelli di Davos,
a elaborare un nuovo sistema». Il forum gli sembra «l’incarnazione
dell’iperglobalizzazione» e visto che «immagino formule diverse per il
futuro con palcoscenici su cui i politici della nuova generazione siano
pronti a interagire, dubito che possa avvenire qui». Insidioso far
previsioni. Certo, stima l’economista: «Non possiamo prendere sotto
gamba i problemi di chi è rimasto indietro, l’ascensore sociale che non
funziona: sono i fenomeni che provocano la protesta che riscrive assetti
e schemi della geopolitica».
L’analisi di Oxfam espone il
drammatico caso dei divari crescenti guardandolo da un numero
impressionante di angolazioni. Emerge il problema della disparità di
genere, con le donne schiacciate nei diritti e nelle ambizioni, ma anche
quello dei 262 milioni di bambine e bambini che non vanno a scuola.
Colpisce l’ingiustizia sociale come quella fiscale. In Brasile, si
scopre, la pressione fiscale sul 10 per cento dei più poveri è più alta
di quella che grava sul dieci per cento dei più ricchi. La proposta è
decisa: facciamo pagare mezzo punto di tasse in più all’uno per cento
dei più ricchi e salveremo la vita a 100 milioni di bambini, dando loro
educazione ed assistenza. Poco è molto di più, nel caso.
Servono
riforme, è ovvio. Jyrki Katainen, vicepresidente della Commissione Ue, è
preoccupato, però invita a costruire sul bicchiere mezzo pieno.
«L’Europa - elabora il finlandese - è la regione dove le diseguaglianze
sono più contenute, è la prova che la crescita economica non viene per
forza a scapito dell’equità». Non è sufficiente, va da sé. «Si deve
investire di più nelle nuove generazioni - continua il finlandese -
nella loro istruzione e nelle opportunità per il futuro». Richiama
all’Intelligenza artificiale, «alla sfida alla quale dobbiamo far
partecipare tutti». In effetti, chiude Klaus Schwab, fondatore del Wef,
«ciò che divide la società è il differenziale fra chi accetta il
cambiamento con spirito costruttivo e chi lo rifiuta rifugiandosi nel
“buon vecchio Mondo” che non esiste più». Non fa una grinza. Ma le
parole senza i fatti, sono come le ricette con la dispensa vuota. Non
sfamano e provocano soltanto rabbia.