il manifesto 22.1.19
Sempre più disuguali. E il fisco favorisce i ricchi
Rapporto
Oxfam. Aumentano i redditi dei paperoni, brusca frenata nella riduzione
della povertà. In Italia, a metà 2018, il 20% dei più abbienti
possedeva il 72% della ricchezza
di Luigi Pandolfi
«Bene
pubblico o ricchezza privata?». È il titolo del Rapporto Oxfam 2018,
che anche quest’anno, alla vigilia del World economic forum di Davos,
riaccende i riflettori sulla vera emergenza di questi tempi: la crescita
vertiginosa delle disuguaglianze nel mondo. Redditi dei miliardari che
aumentano a un ritmo esponenziale, mentre sono sempre di più le persone
che sprofondano nella miseria.
TRA IL 2017 E IL 2018 la ricchezza
di 1900 miliardari è aumentata di oltre 900 miliardi di dollari (+12%),
oltre 2,5 miliardi al giorno. E quella della porzione più povera della
popolazione è crollata dell’11%. Tre miliardi e mezzo di individui
vivono con poco più di 5 dollari al giorno; 2,4 miliardi sono in
condizione di «povertà estrema», per lo più concentrati nell’Africa
subsahariana e nell’Asia meridionale. Gli uomini posseggono il 50% in
più della ricchezza posseduta dalle donne, che guadagnano, mediamente,
il 23% in meno dei colleghi maschi.
E l’1%? Se la passa benissimo,
è arrivato a detenere quasi il 50% della «ricchezza aggregata netta»
del pianeta. Un dato sconvolgente, al quale fa da contraltare un
rallentamento epocale della riduzione della povertà. Secondo la Banca
mondiale tra il 2013 e il 2015 il «tasso annuale di riduzione» si è
contratto addirittura del 40% rispetto alla media degli anni 1990-2015.
Alla base di questa scandalosa distribuzione della ricchezza, oltre ai
cambiamenti intervenuti nella struttura del capitalismo, che da anni
accentua i suoi tratti predatori e accresce la sua componente
finanziaria, c’è, innanzitutto, un’iniqua ripartizione del carico
fiscale tra le classi sociali. I poveri, in proporzione, pagano più
tasse dei ricchi. Nei Paesi più sviluppati – stima Oxfam – l’aliquota
massima dell’imposta sui redditi delle persone fisiche è passata, in
media, dal 62% nel 1970 al 38% nel 2013 (per ogni dollaro di raccolta
fiscale, solo 4 centesimi arrivano dalle tasse sul patrimonio).
TRA
I PAESI EUROPEI, l’Italia si presenta con un quadro generale che
definire «preoccupante» è forse troppo poco. Parlano i numeri. Il 5% dei
super ricchi detiene, da solo, la stessa quota di ricchezza posseduta
dal 90% dei cittadini più poveri. E non è tutto. A metà 2018 il 20% dei
nostri connazionali più abbienti possedeva circa il 72% dell’intera
ricchezza nazionale. Complice la crisi, che non tutti hanno pagato in
egual misura. C’è stato pure chi dalla crisi ne è uscito più forte, come
il 10% più facoltoso del Paese, che, proprio a partire dal 2007-2008,
ha visto lievitare senza sosta il proprio patrimonio netto. Una
catastrofe sociale, il frutto avvelenato di anni passati a smontare
pezzo per pezzo il welfare costruito nel dopoguerra, a ridurre la
«progressività» dell’imposizione fiscale, a privatizzare i servizi, a
comprimere i salari in nome della competitività sul mercato estero.
C’entra
qualcosa la polarizzazione della ricchezza col ristagno dell’economia?
Certamente. E Oxfam lo ricorda, parlando di «danno economico» delle
disuguaglianze. Più tasse e meno reddito per le fasce più deboli della
popolazione da un lato e la riduzione del carico fiscale «in cima alla
piramide» dall’altro, in questi anni hanno tarpato le ali all’economia
«reale», incentivando lo spostamento di ingenti capitali verso la
rendita finanziaria.
BASSA CRESCITA E DISPARITÀ sociali. Due
fenomeni «interconnessi». Perché la debolezza del ceto medio e quella
atavica delle classi popolari non aiuta a sostenere i consumi, dai quali
è sempre dipesa, in larga parte, la crescita economica nelle società
capitalistiche avanzate. Non solo. Lo sprofondamento verso il basso di
una quota significativa della classe media, alla quale possono essere
associati alcuni segmenti di lavoro salariato, quello più qualificato,
specializzato e sindacalizzato, ha fatto sì che la stessa investisse
sempre di meno nel proprio futuro (e in quello delle proprie attività,
nel caso dei piccoli imprenditori) e nel futuro dei propri figli, anche
perché il «costo dell’istruzione» è diventato sempre più elevato,
insostenibile per tante famiglie a basso reddito, come l’accesso alle
cure, per altro verso.
Squilibri tra Paesi ricchi e Paesi poveri,
divario tra ricchi e poveri nello stesso Paese, disuguaglianze sociali
come veicolo di instabilità economica. La ricetta di Oxfam: un fisco che
intervenga in maniera più «progressiva» sulla ricchezza, più spesa
pubblica per sanità e istruzione. In altre parole, più Welfare State.
Per quanto ci riguarda, meglio se su scala europea.