La Stampa 21.1.19
Firenze
Mostro, incubo senza fine
Due nuovi indagati e Firenze rivive l’orrore
di Lodovico Poletto
Se
il primo non è un delitto del mostro allora gli anni sono soltanto 44. E
la metà delle persone che adesso scavano – ancora – su questa storia
erano poco più che bambini, allora. Piove a Firenze; piove a Vicchio e
sui monti della Calvana, dove c’è una vedova che, da sola, piange la sua
bimba e il suo povero marito. Piove a Scandicci, terra di misteri e
sangue. Il mostro di Firenze è ancora lì, fantasma di questa terra di
omicidi in serie, nelle campagne della Toscana.
Nomi e soprannomi
Quarantaquattro
anni dopo quella prima maledetta storia, la faccia del mostro non è
ancora stata del tutto disegnata. Anzi, dei mostri, perché ormai è
chiaro che da queste parti chi ammazzava coppiette in mezzo ai boschi
non era un mostro soltanto. Erano in tanti.
E qualcuno l’hanno
preso. C’era Pietro Pacciani che chiamavano il Vampa, «perché
s’avvampava subito e diventava una bestia», c’era il Lotti, detto
“katanga”, e c’era anche il Vanni . E poi c’erano gli altri ancora senza
nome, figli di questa terra che non ha dimenticato quelle storie
orribili, ma trova anche il modo di giocarci su. Per dire: alla
trattoria Baldini, alle porte del centro, c’è un quadretto accanto alla
porta. Che racchiude il viso - ancora giovane - di uno dei proprietari e
battute scherzose scritte attorno. E chi va lì mangiar la ribollita o
un ossobuco memorabile guarda sorride e se ne va: «Eh, sì, ecco il
nostro Mostro».
Ma giù, al palazzo di giustizia, su questa storia
nessuno ride. Anzi, tutti tacciono. Perché sta a vedere che stavolta,
forse, salta fuori una novità importante. Intanto hanno trovato l’ogiva
di una pistola calibro 22. Era dentro un cuscino nella tenda dove
vennero ammazzati Nadine e Jean Michel: anno 1985. L’hanno trovata gli
investigatori Ros dei carabinieri tre anni fa, e adesso la questione è
stata annunciata urbi et orbi. Vista così è un elemento che potrebbe far
nascere dibattiti sui sopralluoghi fatti all’epoca, magari un po’
troppo frettolosi o forse con tecniche d’indagine che oggi non si usano
più. Ma con il fatto che ci sono due indagati nuovi sembra che qualcosa
di clamoroso possa saltar fuori da un momento all’altro. Per intanto
emergono elementi che fino a ieri nessuno conosceva perché conservati
meglio dei segreti di Fatima. Tipo: la pistola del delitto s’è sempre
detto che era una Beretta modello 70, calibro 22. Non l’hanno mai
trovata.
Ora, si scopre che, sempre un paio di anni fa, ne è stata
rinvenuta una di quello stesso tipo in un rio, nella zona della
Calvana. Era lì chissà da quanti anni. L’hanno scrostata, ripulita
perbene e hanno scoperto che in canna aveva proiettili calibro 22
Winchester, serie H, che sono lo stesso tipo di munizioni usate per
ammazzare le coppiette. È quella l’arma? Non si sa. Perché il percussore
è stato limato. Cioè: è stato modificato con due o tre sapienti colpi
di lima da chi l’ha gettata. Per capire: è come se uno si fosse bruciato
le impronte digitali per non farsi scoprire. Quindi vai a sapere adesso
se è proprio quella l’arma che ha sparato il proiettile trovato nel
cuscino.
In questa storia c’è anche un avvocato che val la pena di
ascoltare. Il suo nome è Vieri Adriani ed è l’uomo che assiste da
sempre i famigliari delle vittime francesi. Adriani è convinto che ci
sia un’altra pistola. Non una seconda, ma proprio un’altra. E l’aveva
pure individuata. Era una High Standard. Che aveva in casa un uomo che
si chiama Giampiero Vigilanti, 88 anni, un ex soldato della Legione
Straniera. Uno a cui piaceva far saper quanto era coraggioso - e
spietato - in battaglia. Tanto che sul quotidiano La Nazione - nel
giugno del 1964 - racconta a puntate le sue gesta. Vent’anni fa, invece,
si fece fotografare con in mano quell’arma. E che, guarda caso, adesso è
scomparsa. Gliel’hanno rubata nel 2013. E Adriani è furibondo. Dice.
«Prima avevamo un’arma, ma non un proiettile del mostro con cui
confrontarla. Ora abbiamo il proiettile ma l’arma non c’è più. Guarda
che caso». Ma c’è di più. Vigilanti, che oggi sembra un nonno, ma molto,
molto in forma, è indagato perché sospettato di esser uno dei killer di
Firenze. E con lui il suo ex medico curante, tal Caccamo. Che, dicono,
Vigilanti abbia tirato in qualche modo in mezzo. Ma perché trent’anni
dopo saltano fuori questi nomi? Per capirlo bisogna tornare indietro nel
tempo.
Il “legionnaire” Vigilanti
Occorre andare a quando
in questo scampolo d’Italia accadeva di tutto. Quando nella zona della
Calvana c’erano i campi paramilitari dell’eversione nera. E c’era la
banda dei sardi che si occupava di sequestri di persona. Soffiantini, ad
esempio, venne trasferito da queste parti. E c’è di più. Qui
l’eversione nera metteva a segno attentati ai treni. A Vernio nel 1984
ci fu quello al Rapido 904. Vernio è in provincia di Prato. Ovvero a un
tiro di schioppo da Firenze. Nel 1969 a San Benedetto val di Sambro
(Bologna) ci fu l’attentato all’Italicus. Il 21 aprile del ’74 a Vaiano,
sempre vicino a Prato, salta per aria un binario sul quale deve passare
il direttissimo Parigi – Roma.
Il treno non viene coinvolto e non
ci sono vittime. Ma c’è un’inchiesta nella quale finiscono 74 persone. I
condannati, però, sono pochi. Nelle carte di quel processo si parla
anche di un «legionario», ma non c’è il nome. Di più? Da queste parti,
allora, di armi ce n’erano più che nel periodo della Resistenza. Una
volta qui venne sequestro un carico di 100 mitragliatori Mab. Un’altra: i
carabinieri fermarono un’auto con ragazzi romani a bordo di una 500
carica di esplosivi e mitra. Basta? Forse no, perchè ci sono elementi
ancora più suggestivi. Tipo: Vaiano è il paese dove ha vissuto Gianpiero
Vigilanti, il legionario, oggi indagato. Che da un bel po’ di anni vive
a Prato. Suggestioni. Ma sta di fatto che Vigilanti, quando ancora
stanno cercando l’assassino finisce dritto nel mirino degli uomini
dell’Arma. Lo perquisiscono. E lui la sfanga. Conosce Pacciani. Ma è
poca roba. Però il faro sull’uomo che si vantava di aver fotografie con
in mano le teste mozzate in Indocina non s’è mai spento. Sì, ma che
c’entra l’eversione nera con il mostro? Qui sta il bello.
L’ultima teoria
L’ultima
teoria è che uno o due o più di quelli che hanno partecipato a quei
campi sia l’autore materiale di diversi delitti. Quasi come momento
catartico e di gruppo. Oppure come prova di coraggio, o perché è
un’azione di gruppo. Una teoria, è vero. Ma ha un suo fondamento. E
Vigilanti è indagato.
Vieri oggi minimizza l’importanza di queste
ultime svolte. Giura che anche se archivieranno tutto non farà
opposizione. Perché «più a nessuno importa ’sta storia». A lui sì, però.
E intanto esamina carte. E fa fare verifiche. Tiene contatti. E cerca
elementi. Il mostro ha ancora una parte coperta, che forse è quella più
brutta. Perchè racconta che la parte più oscura, o più torbida, è ancora
da svelare. Chi riempiva di denaro Vanni e Pacciani, due mezzi
spiantati ma con soldi come se piovesse? E Vigilanti, l’indagato? Era un
operaio di basso profilo. Ma aveva in garage una Lancia Fulvia che per
quegli anni non era proprio adatta a uno che vive in una casetta grossa
un pugno e non ha grandi entrate. Chi c’era al secondo livello? E perché
alle ragazze hanno fatto di tutto, dopo morte? Ecco bisogna trovare
quei mostri lì. Se sono ancora vivi.