Il Fatto 21.1.19
Matera resti così com’è: la modernità la rovinerebbe
La
ballata dei sassi – È il titolo di un libro, che ha Matera come
cornice, “dove la pietra palpita di un ritmo senza tempo”. L’autore è
Carlos Solito, già fotografo e regista: gli scatti, che pubblichiamo in
questa pagina, sono parte del suo progetto “Mter(i)a P(i)etra” che ha
inaugurato ieri – prima mostra di Matera Capitale Europea della Cultura –
a Palazzo Lanfranchi
La posta in gioco è davvero
alta. E non certo per la retorica che si porta dietro la “capitale
europea della cultura”: un carrozzone che bisognerebbe, anzi, avere il
coraggio di ridiscutere profondamente. No: la posta in gioco è Matera
stessa. Ciò che rappresenta: perché Matera, da quando è comparsa
all’orizzonte della cultura italiana (dopo il Cristo si è fermato a
Eboli di Carlo Levi, 1945), è stata un antidoto all’opinione dominante, a
ciò che era successo alle nostre città, ad un rapporto malato con il
passato e con il paesaggio.
Matera è, come per incanto, il mondo
al contrario: nel 1703 l’abate Giovan Battista Pacichelli la descriveva
“di aspetto curiosissimo, situata in tre valli profonde nelle quali, con
artificio e su la pietra nativa e asciutta, seggono le chiese sovra le
case, e quelle pendono sotto a queste, confondendo i vivi e i morti la
stanza. I lumi notturni la fan parere un cielo disceso, e stellato”. I
vivi insieme con i morti, il cielo al posto della terra (la povertà come
forza, la comunione con la terra come progetto).
Un messaggio
universale, come dimostra la bella esposizione fotografica in cui Carlos
Solito mette efficacemente in parallelo Matera e Petra, in Giordania:
un discorso per immagini sul legame tra pietre e popolo. Mentre
l’opulenza artistica di Firenze o Venezia hanno portato al patrimonio
artistico come bene di consumo per i turisti, modello che ha finito con
inghiottirle e distruggerle, Matera potrebbe imporre il modello opposto.
Non diventare mainstream, ma cambiare il mainstream.
Se invece
questo 2019 ce la restituisse “normalizzata” (gentrificata,
globalizzata, macdonaldizzata…) sarebbe una sconfitta terribile.
Viceversa, è possibile che Matera ci apra gli occhi: cioè che permetta
al resto di Italia di capire cos’è, la cultura. Qualcosa che non ha a
che fare col circo degli eventi, ma con la coltivazione della nostra
umanità. Con il pieno sviluppo della persona umana, per dirla con la
Costituzione. È su questo metro che bisognerà misurare i frutti
dell’anno che si apre: non con i numeri al botteghino, ma con il
contributo alla ri-umanizzazione del Paese.
Ero a Matera nel 2013,
alla festa per la presentazione del Progetto. Ricordo una
rappresentazione teatrale in cui un gruppo di veri braccianti immigrati,
tutti africani, parlava e agiva come gli avi dei materani: rendendo
così evidente che “loro” fanno oggi lo stesso lavoro e hanno gli stessi,
pochissimi, diritti di “noi” ieri. Loro siamo noi. Se Matera sarà
capace di ricordare all’Italia verità come questa, sarà una vera
capitale della cultura.
Quando uscì il Cristo si è fermato a
Eboli, la questione di Matera scoppiò nei palazzi della capitale
politica: “Posso attestare che per un pezzo – scrisse Carlo Ludovico
Ragghianti – a Montecitorio non si parlò d’altro che del libro di Levi:
argomento, si badi, anche agli effetti politici più vivo e produttivo di
altri apparentemente più intrinseci. Penso che sarebbe del resto un bel
segno di avanzamento una discussione parlamentare fondata sul messaggio
umano di un libro di poesia o di un’opera d’arte”.
Certo, sarebbe
ingenuo pensare che Matera 2019 faccia capire – che so – a un Bonafede
perché un omicida detenuto non cessa di essere persona e da persona vada
trattato. O a un Salvini perché l’eventuale referendum sul Tav dovrebbe
esser votato in Val di Susa o non in tutta Italia: per non fare che due
esempi che hanno a che fare con l’idea di umanità, e con quella di
comunità territoriale.
Forse Matera 2019 non avrà questo potere:
ma questo è il dibattito che dovrebbe suscitare. La parte migliore della
città e i responsabili del Progetto sono perfettamente consapevoli del
rischio e delle possibilità. L’ansia e i timori del sindaco (Raffaele De
Ruggieri, che alla fine degli anni cinquanta fondò la mitica
associazione La Scaletta e fu il primo materano che tornò a comprar casa
nei Sassi) sono fondati, e sono quelli di tutti noi. Ma la via migliore
per vincere la partita è giocare all’attacco, facendo della diversità
una strategia, dei limiti (di infrastrutture, trasporti, modernità) una
forza.
Come ha ben scritto Nicola Lagioia su Repubblica,
l’obiettivo è fare di Matera un luogo capace di elaborare una visione
diversa: non uno dei mille empori di consumo culturale, ma un centro di
produzione originale. Dove si pensi un altro modo di vivere ed abitare.
Insomma, un processo che faccia assomigliare la modernità a Matera, e
non il contrario. Per dirla con Agostino Riitano (coautore del Progetto e
tra i responsabili della sua attuazione), lo scopo è “creare un sistema
culturale che, anche dopo l’evento, possa continuare a prosperare, con
un bagaglio di strumenti, relazioni e linguaggi che rendano il Sud uno
dei territori più attraenti per produzione culturale e l’innovazione
sociale europea”.
Per questo non ci si è limitati a comprare
eventi sul mercato internazionale, come si fa di solito in questi casi,
ma si è affidato metà del cartellone a imprese culturali lucane: e non
gettando loro addosso finanziamenti a pioggia, ma costruendo insieme i
progetti, e commisurando i fondi. Per evitare che all’allegra alluvione
di quattrini segua il deserto, come quasi sempre finisce in questi casi.
Come
vincere la scommessa? “Il solo modo – ha scritto ancora Levi – sarebbe
di trovare quella parola che, suscitando forze nuove, buttasse all’aria
la scacchiera e trasformasse il gioco in una cosa viva. Sarebbe stata
detta, questa parola”. Noi lo speriamo.