La Stampa 18.1.19
La salute è un lusso per molti
C’è chi s’impoverisce per curarsi
di Paolo Russo
Di
fronte alla salute gli italiani sono sempre più poveri e diseguali.
Sono oltre un milione le famiglie in difficoltà economiche per le spese
sanitarie. Mentre l’aspettativa di vita in salute al Sud e tra i redditi
bassi è sempre più distante da quella di chi vive al Nord o che se la
passa meglio. Effetto di una politica di definanziamento della sanità
pubblica che ci accomuna più ai Paesi dell’Est Europa che al blocco di
quelli occidentali. Anche se per qualità delle cure restiamo ai vertici
europei.
A tastare il posto del sistema sanitario italiano è il
13° Rapporto del Crea sanità, l’istituto di ricerca dell’Università Tor
Vergata di Roma. Dal 2009 a oggi la spesa pubblica per la sanità è
scivolata progressivamente verso Est. Spendiamo il 31,3% in meno di
quanto non facciano i Paesi del blocco occidentale. Una forbice che è
raddoppiata dal 2000, perché se da noi il finanziamento pubblico ha
marciato a un passo di lumaca inferiore all’1% di incremento annuo, tra
le nazioni fondatrici dell’Ue il passo è stato del 3,6% l’anno. E così è
continuata a lievitare la spesa privata, arrivata a lambire oramai i 40
miliardi di euro. Tutto questo con conseguenze spesso drammatiche per i
bilanci familiari e sul piano delle diseguaglianze, sociali e
territoriali.
In tutto, tra chi ha avuto difficoltà economiche e
chi è addirittura scivolato al di sotto della soglia di povertà per
aggirare liste di attesa e superticket, il problema dei costi sanitari è
stato accusato da quasi un milione e centomila famiglie.
La quota
di queste che ha avuto problemi economici, senza però dover dichiarare
bancarotta, è circa il 6%. Ma se in Piemonte sono meno del 3% e in
Trentino Alto Adige appena sopra al 2%, in Calabria ad aver avuto
problemi sono oltre il 12% delle famiglie, in Sicilia il 10% e in
Sardegna il 9%. Il Sud è più in difficoltà, ma problemi ne hanno avuti
anche in Umbria, con poco meno del 10% e in Liguria con oltre il 7% di
famiglie costrette a subire disagi economici. Stesso discorso vale per
chi è addirittura scivolato al di sotto della soglia di povertà per
curarsi attingendo alle proprie tasche, fenomeno che riguarda oltre 350
mila nuclei familiari. Un dramma che impatta solo sullo 0,5% delle
famiglie piemontesi e nell’ancor più insignificante quota di nuclei
lombardi. Mentre basta scendere lungo lo stivale per trovare il 4% e più
della Basilicata o il 3,6% della Calabria.
Ci si impoverisce o,
in alternativa, si rinuncia alle cure. Circa il 17% delle famiglie, poco
meno di 4 milioni e mezzo, ha cercato di risparmiare rinviando a tempi
migliori una visita o un accertamento. Ma in questi numeri ci sono anche
oltre un milione e centomila nuclei che hanno annullato qualsiasi
appuntamento sanitario.
Gli effetti di questo disagio economico e
delle diseguaglianze si riflettono poi sullo stato di salute degli
italiani, cha varia in rapporto a dove si risiede. Così, svela il
rapporto, nel Sud a 65 anni di età si hanno davanti a sè tre anni di
vita in meno che nel resto d’Italia. E se al Nord in media si può
sperare di vivere in buona salute fino a 60 anni, nel meridione
l’aspettativa scende a 55 anni, toccando il minimo di 52 in Calabria.
Altri dati dell’Osservatorio italiano della salute rilevano del resto
che al Sud l’aspettativa di vita è tornata ai livelli del dopoguerra,
con Campania e Sicilia su valori uguali a Bulgaria e Romania, mentre
nelle Marche e a Trento si hanno davanti gli stessi anni di vita degli
svedesi.
Aver stretto sempre più i cordoni della borsa quando si è
trattato di investire sul nostro servizio sanitario nazionale ha
generato però diseguaglianze anche sociali, perché se la coperta del
pubblico si ritira non tutti possono rivolgersi al privato.
Uno
studio condotto un anno fa da Istituto superiore di sanità, Aifa, Agenas
e Istituto per il contrasto delle malattie nella povertà, ha
evidenziato che con un reddito superiore alla media si cominciano ad
accusare i primi acciacchi a 70 anni. Mentre chi ha bassi redditi inizia
a stare meno bene tra i 60 e i 64 anni. Colpa anche dei super-ticket,
gli italiani meno istruiti ricorrono meno spesso a visite specialistiche
ed esami diagnostici.
Insomma di fronte alla malattia non siamo
affatto tutti uguali. Eppure la nostra sanità pubblica con quelle poche
risorse che ha riesce a fare bene. Anzi, a dirla tutta il servizio
sanitario nazionale è ancora un’eccellenza europea. Pur con le marcate
differenze territoriali e sociali, in fatto di aspettativa di vita siamo
secondi solo alla Spagna. Per quella senza disabilità ci sopravanza
solo la Svezia. Da noi a 65 anni si può sperare di vivere quasi altri 10
anni senza avere limitazioni nelle attività quotidiane.
Un dato
che è tra i migliori in Europa. Per i tumori l’Italia ha una mortalità
inferiore alla media europea e andiamo meglio anche in fatto di
mortalità evitabile, mentre in caso di infarto i nostri tassi di
sopravvivenza sono i migliori del mondo occidentale. Forse con queste
performance varrebbe la pena tornare a investire nella nostra sanità
pubblica, mettendo gli italiani sullo stesso piano quando si tratta di
salute.