Corriere 18.1.19
Pensioni, l’allarme dei chirurghi
«In 1.500 diranno addio agli ospedali»
L’appello dei medici: va sbloccato il turn over. In piazza il sit in per il rinnovo del contratto
di Margherita De Bac
Roma
Sono circa 1.500 sui 7.500 dipendenti del servizio pubblico sanitario i
chirurghi che potrebbero decidere di uscire dagli ospedali
approfittando del «quota 100». Significherebbe «la morte della
professione oltreché la chiusura di diversi centri», vede nero Piero
Marini, presidente dell’associazione Acoi che rappresenta gli
specialisti del bisturi, capo dipartimento al San Camillo, il maggiore
polo chirurgico romano.
L’intera categoria dei camici bianchi é in
allarme per il presente e il futuro. Ieri medici, veterinari e
dirigenti sanitari a nome di tutti i sindacati hanno di nuovo
manifestato davanti al ministero della Pubblica amministrazione per
chiedere il rinnovo del contratto di lavoro, bloccato da 10 anni, oltre a
un piano di assunzioni necessarie «a garantire la sopravvivenza del
sistema» e a riconquistare la dignità. Sui cartelli, descritta una
situazione al collasso: «No ad orari di lavoro senza limite, milioni di
giovani senza futuro, 15 ore di straordinari non pagate».
La
giornata si é chiusa con la promessa di un emendamento al decreto sulle
semplificazioni che permetterà di far ripartire il contratto. Per il 25 é
intanto in calendario uno sciopero nazionale.
I chirurghi sono
tra i professionisti più sofferenti. Marini basa la stima dei 1500 addii
all’ospedale anche sulle testimonianze raccolte tra i colleghi: «Le do
per certo che centinaia lasceranno se la scelta non sarà penalizzante ai
fini dell’assegno pensionistico. Non se ne può più».
Marini
chiede che il vuoto lasciato dall’esodo venga colmato dallo sblocco del
turn over, con nuove assunzioni. Altrimenti si rischia di grosso. In due
grossi ospedali della Calabria «due primari sono costretti a sostenere
15 ore di reperibilità notturna a settimana. Non si trova personale per
la chirurgia d’urgenza».
La crisi é legata al problema dei
contenziosi. Il rischio di incorrere in una denuncia da parte dei
pazienti, spiega Marini, «é insostenibile, una ghigliottina sospesa sul
collo. L’ 80% di noi hanno dichiarato di essere molto preoccupati quando
entrano in sala operatoria e ammettono di interrompere l’intervento se
si presentano imprevisti cui dover far fronte con manovre pericolose.
Oppure di non operare affatto».
Il 95% dei procedimenti si
risolvono con un nulla di fatto ma nel frattempo il chirurgo ha
sostenuto il peso anche morale di una causa e di spese legali. Il
fenomeno rende meno appetibile la specializzazione in chirurgia.
Nell’ultimo concorso, su 16 mila neolaureati le richieste per ottenere
una borsa di studio sono state appena 90 sulle 350 disponibili. Quelle
non assegnate sono così andate perdute.
Il timore di finire sul
banco degli imputati non é l’unico deterrente. Marini continua: «Si
aggiunge l’insoddisfazione per i programmi formativi. Gli specializzandi
all’interno delle scuole non vengono messi in condizione di operare il
numero di ore necessarie per essere preparati. Quando terminano il corso
nessuno di loro é in grado di entrare nel mondo del lavoro e di
sentirsi sicuri nell’affrontare un intervento».