La Stampa 18.1.19
Il sistema sanitario
La ricetta di una nuova equita’
di Linda laura Sabbadini
Il
nostro sistema sanitario ha da poco compiuto 40 anni e ce lo dobbiamo
tenere stretto. Sì, perché in termini di risultati, abbiamo valori
indiscussi di alto livello, con una speranza di vita tra le più elevate
al mondo.
è un sistema universalistico il nostro e, in quanto
tale, rappresenta una risorsa preziosa per i cittadini, perché promuove
l’equità.
Ma attenzione, ciò non può semplicemente rimanere sulla
carta, sulla sanità dobbiamo investire, non possiamo permetterci di
disinvestire, perché anche nella sanità si rispecchiano le
disuguaglianze del Paese e anche se minori rispetto agli altri Paesi
europei non vanno assolutamente sottovalutate.
Le persone delle
classi sociali più alte stanno meglio delle altre, e vivono più a lungo.
Gli uomini con al massimo la licenza media inferiore presentano secondo
l’Istat 3 anni di svantaggio di speranza di vita rispetto a quelli con
la laurea. Tra le donne le disuguaglianze sono meno pronunciate (1,5
anni) ma emergono comunque. La forte carenza di risorse e competenze
agisce in negativo sulla salute, indipendentemente dalla zona del Paese.
Ma
a ciò va aggiunto che il Sud e le Isole presentano comunque una
speranza di vita più sfavorevole in tutte le fasce di istruzione, esiste
cioè anche una differenza territoriale che incide di per sé. La
Campania si caratterizza per una forte diseguaglianza nella mortalità
per titolo di studio e al contempo per i valori più bassi d’Italia nelle
speranze di vita per tutti i livelli di istruzione, con 2,5 anni in
meno di speranza di vita rispetto a molte regioni del Nord .
Un
interessante studio sulle disuguaglianze sociali è stato condotto su
Torino dall’epidemiologo Giuseppe Costa particolarmente attento a queste
tematiche: ebbene un uomo che attraversa la città, dalla collina alto
borghese, dove si concentrano le persone con più alto reddito alla
barriera operaia nel Nord-Ovest dove vivono quelle a più basso reddito
vede ridursi la speranza di vita di 6 mesi per ogni chilometro percorso.
Più di 4 anni di speranza di vita separano i benestanti della collina
dagli abitanti più poveri del quartiere Vallette.
Le evidenze
statistiche sono forti, vanno abbattute le barriere all’equità nella
salute. Se le differenze sono socialmente determinate, ciò vuol dire che
si può agire per modificarle e soprattutto per evitarle. E per farlo
servono politiche sanitarie e non sanitarie.
Le politiche di
inclusione sociale sono certamente fondamentali, la riduzione della
povertà porta ad un miglioramento anche dell’equità nella salute. Ma non
sono sufficienti. Bisogna dotarsi di un nuovo approccio strategico in
sanità.
Una riflessione va fatta sul finanziamento del nostro
sistema sanitario e sulla crescita della spesa sanitaria a carico dei
cittadini, accanto alla diminuzione di quella pubblica. Il disagio nelle
spese sanitarie raggiunge il 12% dei cittadini in alcune regioni
meridionali.
Dobbiamo reinvertire la rotta e ricordarci che il
diritto alla salute è un diritto costituzionale. Prolungare una
situazione di scarso finanziamento del sistema pubblico non può che
portare all’incremento delle disuguaglianze in sanità. Abbiamo un
sistema sanitario che ha dato grandi esiti in tutto il Paese anche
grazie a molte eccellenze nel personale sanitario. Ma non si può più
continuare senza un forte ricambio generazionale ben transitato, e una
forte spinta all’innovazione. Dobbiamo reinvestirci. La povertà di
risorse per il settore pubblico danneggerà tutti, ma soprattutto i
poveri e ci renderà più disuguali.